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Autonomia del rapporto se il libero professionista riceve direttive solo sanitarie e fornisce le proprie disponibilità
Tribunale del lavoro di Roma - Sentenza n. 9007/2021 del 2 novembre 2021
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
La pronuncia in commento affronta il caso di una infermiera che aveva prestato la propria attività presso una casa di cura romana in regime libero professionale, la quale, dopo aver risolto il rapporto per motivi personali, ricorreva in Tribunale, convenendo in giudizio la Struttura affinché venisse accertata la natura subordinata del rapporto intercorso con quest’ultima, con condanna di controparte alla corresponsione di differenze retributive a vario titolo, altri emolumenti e competenze di fine rapporto.
Si costituiva in giudizio la Casa di Cura contestando l’avversa pretesa e deducendo che la lavoratrice aveva sempre lavorato in regime libero-professionale, fornendo le proprie disponibilità alla copertura di uno più turni, essendo libera di non lavorare anche per lunghi periodi e di allontanarsi dalla Casa di Cura in qualunque momento, senza bisogno di autorizzazione, non dovendo giustificare la propria assenza. Precisava altresì la convenuta società che il badge veniva utilizzato solo per il calcolo delle ore fatturate e che la professionista non era sottoposta a ordini o disposizioni, dovendo soltanto rapportarsi con il direttore sanitario e la caposala per questioni mediche, svolgendo il proprio lavoro sulla base di protocolli interni.
Il Tribunale di Roma, espletata adeguata istruttoria, riteneva di rigettare in toto il ricorso. Motivava la propria decisione, evidenziando innanzitutto che “il criterio essenziale individuato dalla giurisprudenza per distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo consiste nella sottoposizione del lavoratore al potere direttivo della controparte e cioè l’attività di lavoro è “eterodiretta” essendo il prestatore di lavoro obbligato a conformarsi alle indicazioni che in qualsiasi momento il datore di lavoro ha facoltà di manifestare in merito ai tempi e ai modi di svolgimento dell’attività lavorativa, essendo costantemente volta tale attività a realizzare il fine produttivo che il datore di lavoro individua”, precisando tuttavia che “in caso di prestazioni di natura intellettuale o professionale, quali quelle svolte dal lavoratore che esercita un’attività per la quale è richiesta l’iscrizione ad ordini professionali (così medici e infermieri), la giurisprudenza prevalente ha precisato che l’assoggettamento del lavoratore alle direttive del datore di lavoro si presenta certamente in forma più attenuata”. In tal caso, infatti, a parere del Giudice, così come sancito dalla recente pronuncia della Suprema Corte n. 5436/2019, presentandosi l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui in forma attenuata “in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell’atteggiarsi del rapporto […] occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale”.
Alla stregua dunque di detto orientamento giurisprudenziale, cui il Giudice riteneva di conformarsi, quest’ultimo esaminava i singoli criteri sussidiari indicati in ricorso dalla professionista a sostegno della sua domanda, pervenendo alla conclusione che “l’istruttoria espletata, letta unitamente al corredo documentale, non ha consentito di raggiungere la prova certa, il cui onere gravava sulla ricorrente, della eterodirezione della casa di cura nel senso sopra chiarito”.
Nello specifico, riteneva che “il fatto (certamente emerso nel corso dell’istruttoria … che il primario o la caposala potessero dare indicazioni mediche alla ricorrente sul tipo di terapia da praticare ad un paziente o sull’orario in cui la detta terapia o altra attività dovesse essere praticata non è affatto indicativo di una subordinazione in senso negoziale, inerendo, le dette direttive, agli aspetti più propriamente tecnici e professionali dell’attività, in quanto tali non rivelatori dell’assoggettamento del lavoratore alla eterodirezione di un datore di lavoro nel senso già chiarito”.
Così come il Giudice romano ha ritenuto determinante la circostanza che fosse l’infermiera a fornire le proprie disponibilità a coprire determinati turni sulla base di una griglia programmatica predisposta dalla caposala, in cui la libera professionista cancellava le giornate non confacenti con le proprie esigenze. Ed infatti si legge in pronuncia: “l’inserimento della ricorrente nei turni di copertura del servizio infermieristico non era affatto compiuto d’imperio dalla caposala, essendo meramente predisposto per la proposta alla professionista, che era libera di cancellare la propria disponibilità in uno o più turni e anche per uno o più giorni, senza andare incontro ad alcuna contestazione o responsabilità per inadempimento”, ritenendo in siffatta maniera corretto l’operato della Casa di Cura, essendovi una “sicura libertà dei liberi professionisti di organizzare le proprie presenze in clinica, sempre compatibilmente con i turni in cui il servizio era articolato, secondo le proprie esigenze personali o professionali, potendo persino sostituirsi reciprocamente, in caso di urgenza senza neanche avvisare preventivamente”.
Esaminati dunque i fatti, anche in relazione ad ulteriori elementi, quali ferie, badge etc, il Tribunale rigettava in toto il ricorso proposto dalla lavoratrice, confermando la piena autonomia nello svolgimento dell’attività professionale espletata in favore della resistente e ritenendo insufficienti gli ulteriori elementi evidenziati dalla ricorrente, quali la continuità della prestazione, l’utilizzo della strumentazione presente in reparto, l’assenza di rischio di impresa ed il pagamento dei compensi commisurato alle ore lavorate.