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Tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto
Tribunale di Roma - 3^ Sezione lavoro - ordinanza del 6 ottobre 2021
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Nella recentissima pronuncia in oggetto, il Tribunale di Roma è stato chiamato a pronunciarsi in merito al principio di tempestività nel licenziamento per superamento del periodo di comporto. Nel caso di specie, la dipendente di una R.S.A. laziale aveva impugnato il licenziamento irrogatole per superamento del periodo di comporto (12 mesi complessivi di assenze per malattia e infortunio nell’arco del quadriennio mobile, in base al CCNL AIOP R.S.A.), sostenendone, tra i vari motivi, la tardività.
Orbene, il Tribunale di Roma rilevava innanzitutto come la lavoratrice non avesse tenuto in conto, nel calcolo del comporto, la circostanza, dedotta dalla società resistente e non contestata da controparte, di aver contratto matrimonio 15 mesi prima dell’irrogato licenziamento, causa che aveva determinato in capo all’azienda l’impossibilità, per un anno, di risolvere il rapporto, con obbligato slittamento del recesso.
All’uopo, rilevava il Giudice, richiamando giurisprudenza di legittimità, che: “la persistente operatività del divieto di licenziamento per causa di matrimonio durante la sospensione del rapporto di lavoro "ex" art. 2110 cod. civ. non comporta alcun effetto di sovrapposizione delle tutele con prolungamento temporale del divieto di recesso, atteso che la garanzia di conservazione del posto di lavoro durante la malattia e la previsione della nullità del licenziamento per causa di matrimonio muovono su piani concettualmente distinti e rispondono a finalità diverse, e che, pertanto, il divieto di licenziamento della lavoratrice è destinato ad operare solo nel periodo determinato dall'art. 1 della legge n. 7 del 1963, senza che sul decorso di esso incida il comporto per malattia” (Cass. 5065/02).
Quindi, chiarito che lo spatium deliberandi a disposizione del datore di lavoro non decorreva prima della ripresa dell’attività lavorativa e che il dato oggettivo dell’aver contratto matrimonio assumeva rilievo per escludere la facoltà di recesso del datore di lavoro, anche in caso di superamento del periodo di comporto, correttamente il Tribunale escludeva dalla valutazione della tempestività l’anno decorrente dalla data di matrimonio.
Scaduto l’anno, il datore di lavoro, al primo evento morboso utile, occorso dopo due mesi e mezzo dalla scadenza del richiamato divieto, esercitava il recesso.
Il Tribunale, con ampia motivazione, valutava quindi tempestivo il licenziamento, richiamando i precedenti emessi dalla Suprema Corte di Cassazione (ex plurimus Cass. 24899/11; Cass. 7037/11; Cass. 23920/10 “il datore di lavoro può recedere non appena terminato il periodo di comporto e, quindi, anche prima del rientro del lavoratore, ma ha, altresì, la facoltà di attendere la ripresa del servizio per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell'assetto organizzativo, se del caso mutato, dell'azienda”)..
E precisava che “la durata complessiva dello spatium deliberandi a disposizione del datore di lavoro non è predeterminata, ma legata alle circostanze del caso concreto, assumendo rilievo a tal fine le dimensioni dell’impresa e, soprattutto, le condotte delle parti: quella del datore di lavoro, in particolare, non deve essere sintomatica della volontà di rinunciare al licenziamento, il che si verifica nei casi in cui l’inerzia del datore di lavoro si accompagni a condotte incompatibili con la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, ad esempio per aver concesso ferie in vista di una riorganizzazione aziendale e aver inviato il lavoratore a visita medica di sorveglianza oppure per aver tollerato un ulteriore periodo di assenza consentendo la successiva ripresa del servizio prima di esercitare il recesso per superamento del periodo di comporto.
In conclusione, chiariti tali principi, il Tribunale di Roma dichiarava la legittimità della risoluzione ex art. 39 del CCNL per il personale dipendente delle Rsa e delle altre strutture residenziali e socio-assistenziali associate Aio, respingendo integralmente il ricorso proposto dalla ex dipendente.