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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Illegittimo il licenziamento del lavoratore che si oppone al trasferimento
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Illegittimo il licenziamento del lavoratore che si oppone al trasferimento

Corte di Cassazione Sezione Lavoro ordinanza n. 29054 del 5 dicembre

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

L’ordinanza oggi commentata affronta il caso di un lavoratore licenziato con una doppia motivazione, ovvero per l’inadempimento conseguente ad una assenza dal posto di lavoro e per giustificato motivo oggettivo conseguente ad una dedotta organizzazione aziendale. I giudici di secondo grado avevano ritenuto privo di fondamento il giustificato motivo soggettivo, atteso che il lavoratore aveva "reagito" ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento da Pomezia a Milano, in assenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. Altresì, con riferimento al giustificato motivo oggettivo, gli stessi giudici avevano rilevato la non effettività dell’asserita soppressione del posto di lavoro del dipendente.
Avverso tale sentenza, il datore di lavoro proponeva ricorso per Cassazione, rilevando come i Giudici di merito avessero omesso di accertare l’importanza del preteso inadempimento del datore di lavoro, tale da rendere legittimo il rifiuto all’adempimento della prestazione lavorativa opposto dal lavoratore che non si era presentato presso la sede nella quale era stato trasferito. I giudici di legittimità avevano ritenuto infondata tale censura, atteso che il mutamento della sede lavorativa doveva essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali era configurabile una condotta datoriale illecita, che giustificava la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producevano effetti (Cass. n. 11927 del 2013; Cass. n. 27844 del 2009; Cass. n. 26920 del 2008; Cass. n. 16907 del 2006; Cass. n. 4771 del 2004; Cass. n. 18209 del 2002; Cass. n. 1074 del 1999).
Aggiungevano altresì gli Ermellini che, in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., e dunque al cospetto di un inadempimento datoriale oggettivamente gravido di conseguenze negative per il lavoratore, quale il trasferimento illegittimo dello stesso ad una sede di lavoro così lontana da quella originaria, fosse del tutto legittima e proporzionata la reazione del dipendente che, pur rifiutando di prestare la propria attività lavorativa presso la sede di destinazione, avesse comunque messo a disposizione le proprie energie lavorative presso la legittima sede di lavoro.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava parte ricorrente al pagamento delle spese.
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