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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Quando il rapporto tra struttura sanitaria è medico è da intendersi autonomo e non subordinato
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Quando il rapporto tra struttura sanitaria è medico è da intendersi autonomo e non subordinato

Tribunale di Roma Sez. Lavoro G.I. Dott. De Ioris – Ordinanza n° cronol. 17608 del 16 febbraio 2023

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

Con la recentissima pronuncia in commento il Tribunale di Roma ha affrontato il caso di una dottoressa, che assumendo di  aver lavorato ininterrottamente dal 1997 al 2020 in favore di una struttura sanitaria romana, come medico presso il Centro emodialisi, e deducendo che il recesso operato da quest’ultima configurasse un vero e proprio licenziamento, privo di motivazione e posto in essere in assenza delle causali stabilite dalla legge, lo impugnava, chiedendo al Tribunale di voler previamente accertare la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.

Assumeva la professionista che il rapporto instaurato con la controparte dovesse in realtà essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato sul presupposto che essa “nonostante la stipula di fittizi contratti di lavoro libero professionale, aveva prestato la propria attività lavorativa esclusivamente ed in via continuata per diversi anni presso la struttura della società resistente, sotto la direzione e in virtù delle disposizioni impartite, per il tramite del primario del centro emodialisi, da questa, e secondo turni organizzati ed orari di lavoro prestabiliti dalla medesima”. La ricorrente asseriva quindi che nel caso di specie ricorressero tutti “gli indicatori sussidiari della subordinazione individuati dalla giurisprudenza, anche con riferimento a prestazioni di natura intellettuale”.

Si costituiva la società, contestando punto per punto l’avverso dedotto.

Il Giudice, preso atto della documentazione prodotta ed espletata prova per testi, esaminava in ordinanza innanzitutto la natura del rapporto, presupposto questo per poi valutare le richieste inerenti la nullità del licenziamento dedotto in giudizio.

Orbene, il Tribunale analizzava in primis la questione relativa alla “volontà manifestata delle parti”, specificando che “se queste hanno espressamente dichiarato di voler escludere la subordinazione o hanno qualificato la collaborazione con il nomen iuris di un istituto di per sé incompatibile con essasarà possibile pervenire a una diversa qualificazione giuridica solo qualora sia dimostrato che la subordinazione si è di fatto realizzata nella fase dell'esecuzione”, chiarendo altresì  che “qualora dall'indagine non emergano elementi che depongano in maniera certa per la sussistenza dell'uno o dell'altro tipo di rapporto, l'interprete non potrà che dare prevalenza alla volontà manifestata dalle parti al momento della conclusione del contratto (v. Cass., Sez. Lav., 23 luglio 2004, n. 13884, 27 ottobre 2003, n. 16119, 29 aprile 2003, n. 6673)”.

Prosegue il Giudice, quale premessa all’esame delle risultanze istruttorie: “In tale indagine deve tenersi conto anche dell’esistenza di particolari situazioni, enucleate dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento alle attività di carattere sanitario, riconducibili alla cd. subordinazione attenuata, in cui cioè la subordinazione può evincersi anche in difetto di continui e specifici controlli o direttive, laddove l’organizzazione datoriale non li consenta o non li preveda, ovvero tali ingerenze non siano richieste in ragione del contenuto concreto dell’attività lavorativa, come nel caso in cui la prestazione lavorativa abbia natura prettamente intellettuale o di concetto, ovvero sia qualificata da creatività e/o particolare autonomia”.

Secondo il Tribunale, dunque, l’elemento discriminante è costituito dall’intensità con la quale il potere direttivo ed organizzatorio è esercitato dal committente (cfr.  Cass. n. 22634/19 che ha significativamente parlato di “intensità della etero-organizzazione della prestazione”) e dal fatto che, per effetto dell’esercizio di essi, il margine di discrezionalità del prestatore ne rimane significativamente ridotto o condizionato nelle modalità concrete di espletamento della prestazione.

Venendo dunque al caso concreto, si legge in pronuncia: “dall’istruttoria svolta non è affatto emerso che l’odierna resistente abbia condizionato in maniera così incisiva l’espletamento delle prestazioni lavorative rese dalla ricorrente, essendo emerso che quest’ultima, nel mettere in atto le prestazioni da svolgere in qualità di medico addetto al centro emodialisi, doveva attenersi soltanto alle terapie indicate, a lei come a tutti gli altri medici addetti a tale centro, dal medico responsabile dello stesso, nonché alle linee guida decise insieme”.

Le direttive erano dunque solo “di carattere tecnico e di ordine sanitario, attinenti cioè all’attuazione dei percorsi assistenziali stabiliti per i pazienti del centro emodialitico, della quale è responsabile il primario, e che a loro volta non possono discostarsi da quanto previsto nei protocolli terapeutici riconosciuti ed autorizzati dalla comunità scientifica e dalle disposizioni dettate dagli enti pubblici preposti alla cura del servizio sanitario nazionale e regionale”.

Così come “la predisposizione dei turni di lavoro dei medici anzidetti, ricorrente compresa, avveniva sulla base di decisioni prese in buona sostanza dagli stessi medici, ed alle esigenze da essi rappresentate fin dall’inizio del rapporto, e che pertanto essa discendeva da un accordo previamente stabilito, e quindi in una situazione in cui vi era sostanziale parità di “forza contrattuale” tra le parti”, potendo peraltro “i medici addetti al centro di emodialisi .. modificare l’autoorganizzazione dei turni in precedenza stabilita”.

Prosegue il Giudice: “l’ampia autonomia di cui la ricorrente ha potuto godere nell’impostare, sia all’inizio del rapporto, sia in corso di sua esecuzione, le modalità con le quali rendere la propria prestazione, senza subire un’ingerenza da parte della controparte committente di intensità tale da limitare in modo significativo la sua autodeterminazione. Di un’analoga autonomia la stessa ricorrente, come pure tutti i medici del centro emodialisi, ha potuto godere anche per quanto riguarda la gestione di assenze dal lavoro e dei periodi di ferie”. Autonomia che si esplicava anche in ordine alla durata giornaliera della prestazione lavorativa, posto che i medici dell’emodialisi non erano legati ad un orario prefissato, bensì alla presenza dei pazienti.

Quanto poi alla circostanza che alla ricorrente fosse stato fornito un camice da parte della struttura, si legge: “deve ritenersi che essa non sia significativa ai fini dell’accertamento della dedotta subordinazione; a tal proposito deve richiamarsi infatti quanto detto in precedenza circa la compatibilità della prestazione del lavoro autonomo con la messa a disposizione del lavoratore di mezzi da parte del committente, considerata altresì la peculiarità del settore in cui opera l’odierna resistente, nel quale occorre prestare la massima attenzione all’igiene, alla salute ed alla sicurezza dei pazienti da parte di qualsiasi operatore coinvolto, indipendentemente dalla tipologia di rapporto che lo lega alla struttura che tali pazienti ha in cura, alla quale deve far capo, prima di ogni altro, l’obbligo di predisporre misure idonee a preservare i beni anzidetti”. Stesso dicasi per il badge “utilizzato per la quantificazione del compenso spettante ai medici”.

Alla luce di tali considerazioni il Tribunale riteneva dunque che non fosse stata raggiunta la prova in ordine alla natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con la controparte, “nemmeno nella forma della cd subordinazione attenuata, tipicamente ricorrente nelle ipotesi di prestazioni di natura intellettuale”, con il conseguente rigetto della domanda della ricorrente inerente il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro non potendo dunque qualificare il recesso dal contratto di lavoro libero professionale come licenziamento.

Si rappresenta in ultimo che il Tribunale, con sentenza n. 1601 emessa il medesimo giorno di quella in commento, rigettava altresì le richieste di differenze retribuite avanzate dalla cennata dott.ssa nei confronti della casa di cura, sul presupposto dell’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato, così come sopra dedotto.

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