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Il lavoratore disabile non può invocare la discriminazione del recesso per comporto, laddove non provi la riconducibilità delle assenze alla disabilità
Corte di Appello di Palermo – Sez. Lavoro Sent. n. 713 del 5 giugno 2025.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
Con la sentenza in commento, la Corte d’appello di Palermo ha affrontato il caso di un lavoratore che aveva impugnato la sentenza di primo grado, lamentando l’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto asseritamente discriminatorio perché frutto dell’applicazione automatica anche ai soggetti disabili del periodo di comporto previsto, in generale, dal Ccnl. La discriminazione sarebbe scaturita dalla mancata considerazione della maggiore morbilità connessa alla disabilità (da cui deriverebbe, per il soggetto disabile, rispetto agli altri lavoratori, il diritto a un più lungo periodo di conservazione del posto). A parere del ricorrente, infatti, il Tribunale aveva errato, ritenendo il lavoratore gravato dell’onere probatorio (ritenuto non assolto) circa la riconducibilità delle assenze a patologie connesse con la disabilità, e omettendo, quindi, di verificare se il datore medesimo avesse adempiuto agli obblighi informativi sulle patologie, ai fini di porre in essere «gli accomodamenti ragionevoli» (ad esempio, esclusione dal computo ai fini del comporto delle assenze connesse alla disabilità), ex articolo 5 bis legge 104 del 1992, da attivarsi prima di licenziare il disabile.
La Corte di Appello ha innanzitutto ribadito il recente orientamento della Suprema Corte (Cassazione 6965/2025), secondo cui nei giudizi antidiscriminatori non vi è inversione dell’onere della prova, ma solo un’agevolazione nei confronti del ricorrente, di tal che incombe sul lavoratore l’onere di allegazione del fattore di rischio, del trattamento ritenuto sfavorevole rispetto a soggetti in situazioni analoghe e, in particolare, della significativa correlazione tra tali elementi. Inoltre, la Corte ha statuito che, nella fattispecie in esame, il fattore di rischio cui si assumeva fosse collegato il comportamento datoriale discriminatorio (il licenziamento per superamento del periodo di comporto) non era soltanto lo stato disabilità in sé, quanto piuttosto il fatto che le patologie che avevano causato le ripetute assenze fossero connesse, in rapporto diretto ed immediato, con la disabilità stessa. Tale situazione complessivamente considerata (e non l’eccessiva morbilità) implicherebbe, infatti, per il lavoratore disabile, la particolare tutela normativa.
Alla stregua di quanto sopra, il Collegio ha confermato il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del lavoratore, non avendo questi, in primo luogo, allegato in modo sufficientemente specifico il nesso di connessione diretta tra le patologie che avevano causato le assenze ed il suo stato di disabilità (definito in modo vago, senza riferimento a infermità specifiche) e, in secondo luogo, non avendo prodotto alcun documento tale da consentire al Giudice di accertare il predetto nesso (i certificati medici in atti erano, infatti, redatti solo in lingua croata e, pertanto, non intelligibili).
Sul punto la Corte territoriale ha precisato “la Suprema Corte (v. 9095/2023; conf. Cass. n. 35747/2023, n. 14316/2024), ha infatti affermato che, sia nell'ipotesi in cui "la disabilità sia conosciuta dal datore di lavoro per essere, per esempio, il lavoratore stato assunto ai sensi della legge n. 68/1999 ovvero perché il lavoratore stesso ha rappresentato, nella comunicazione delle assenze o in qualsiasi altro modo, la propria situazione di disabilità alla parte datoriale" che in quella, diversa, in cui "il datore di lavoro, pur ignorando la disabilità del dipendente non sia incolpevole perché era in grado di averne comunque consapevolezza per non avere, ad esempio, effettuato correttamente la sorveglianza sanitaria ex art. 41 del D.lgs. n. 81/2008 ovvero perché le certificazioni mediche e/ o la documentazione inviate erano sintomatiche di un particolare stato di salute costituente uno situazione di handicap come sopra delineata dalla normativa in materia"..."per il datore di lavoro sorge, prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, un onere di acquisire informazioni - cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore - circa la eventualità che le assenze siano connesse ad uno stato di disabilità, per valutare, quindi, gli elementi utili al fine di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso dal rapporto (cfr. Cass. n. 11731 del 2024, par. 7.2); accomodamenti che, a seconda dei casi, possono consistere in un allungamento del periodo di comporto, o nell'espunzione dal periodo medesimo dei periodi di malattia che siano risultati connessi allo stato disabilità”.
Proprio in applicazione di tali principi, la Corte ha rigettato l’impugnativa del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento.