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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Sulla responsabilità civile della struttura sanitaria psichiatrica
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Sulla responsabilità civile della struttura sanitaria psichiatrica

nota alla Sentenza della Corte di Cassazione, 3^sez. civile, n.25288, 11 nov.2020

Avv. Giuseppe De Marco, LegalSanità

Credo che siano sempre di particolare interesse le decisioni sulla responsabilità delle strutture psichiatriche, poiché si deve immancabilmente fare i conti con la necessità di garantire certamente, da un lato, la tutela della personalità (nel rispetto della legge Basaglia e quindi curando il paziente con approccio sempre meno custodialistico) e, dall’altro lato, anche e comunque la tutela della persona, attraverso l’adempimento degli obblighi di sorveglianza in favore del paziente psichiatrico.

In questo contesto giuridico fondamentale va considerata anche la sentenza n. 25288/20, dep.11/11/20 della Cass. Civ. Sez. III, degna di nota perché stabilisce l’indispensabilità che il Giudice, qualora rilevi una responsabilità per inadempimento contrattuale di una struttura psichiatrica e dei suoi sanitari, indichi quali misure alternative avrebbero dovuto essere adottate per evitare il danno.

Una decisione, già pertanto, che ci fa riflettere non tanto sul nesso causale tra condotta e danno, quanto su quello più sottile e incerto e perciò non giudicabile sbrigativamente, tra condotta esigibile (dalla struttura sanitaria) e danno.
La fattispecie vede quali ricorrenti il Primario della Divisione Psichiatrica – Dipartimento Servizio Mentale di Diagnosi di un ospedale e la ASL competente per territorio. La controversia origina da un evento occorso ad una paziente che, al quinto mese di gravidanza e sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio di tipo psichiatrico, nonostante un rigido servizio di contenzione fisica ed un costante monitoraggio, si divincolava e, con atto descritto dai testimoni “fulmineo, istantaneo ed assolutamente imprevedibile”, si cagionava una lesione all’occhio sinistro che ne determinava la perdita.
La domanda risarcitoria avanzata dalla paziente veniva rigettata dal Tribunale di Crotone, che rilevava come il danno da ella riportato, attesa l’imprevedibilità della sua azione, fosse addebitabile solo alla sua esclusiva responsabilità, non potendo ravvisarsi alcun inadempimento o condotta omissiva imputabile ai sanitari. Tuttavia – esperito gravame dall’attrice soccombente – la Corte di Appello di Catanzaro lo accoglieva, condannando i convenuti in solido tra loro al risarcimento. Avverso la pronuncia della Corte catanzarese ricorrevano in Cassazione il Primario e la ASL.
La S.C. ha accolto parzialmente detti ricorsi, cassato la decisione impugnata e rinviato gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, per una nuova decisione nel merito.

Ritengo siano necessarie due brevi premesse.
La prima è che il rapporto giuridico del paziente psichiatrico con la struttura è sempre da ricondurre nell’ambito contrattuale (contratto atipico di assistenza sanitaria, che si sostanzia di una complessa serie di prestazioni che la struttura eroga in favore del paziente, sia di natura medica che di ospitalità alberghiera).
La seconda è che la stessa Cassazione, pur prendendo atto che, con l’avvento della legge 13 maggio 1978, n.180, l’ordinamento giuridico ha abbandonato la realtà manicomiale a favore di una assistenza psichiatrica diffusa che riconosce nei servizi territoriali il punto di forza, ha osservato che tali principi non interferiscono sull’obbligo di sorveglianza che incombe su coloro che in concreto sono incaricati di tale compito a seguito di una precisa diagnosi (Cass. civ. sez.1 11 novebre 1997, n.11038).

Ricordo infatti che bisogna in ogni caso tenere presente che, sotto il profilo puramente civilistico, il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso (nel nostro caso, la cura del paziente), ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi (ecco da dove deriva l’obbligo di protezione).

La sentenza in commento ha il pregio di riassumere sia la problematica del ‘duplice ciclo causale’ (“l’uno relativo all’evento dannoso a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere a valle”) sia la complessa problematica della diversa configurabilità del rapporto causale tra processo penale e civile; in entrambi i casi offrendo al lettore utili precedenti giurisprudenziali.

Ciò premesso, v’è da sottolineare che nel caso di specie la Corte non critica la sentenza impugnata – come avrebbero voluto i ricorrenti – per la veloce presa di posizione sul nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari e l’evento lesivo (il “carattere ‘repentino’….del gesto compiuto dalla donna assume rilievo su un piano diverso da quello dell’applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.”).

Dico “veloce” perché la Corte di Appello aveva giudicato sul nesso causale secondo la massima “post hoc, ergo propter hoc” (dopo questo, e quindi a causa di questo): la decisione in esame ha applicato il principio affermato in passato dalla stessa Cassazione e cioè che “ in qualsiasi ipotesi di colpa omissiva consistita nel non aver impedito un evento che si era obbligati a impedire, l’avverarsi stesso dell’evento costituisce in tesi prova del nesso di causa tra la condotta omissiva e il danno, potendo la struttura sanitaria esonerarsi da responsabilità dimostrando di avere tenuto una condotta diligente, ossia una adeguata sorveglianza del degente (Cass. civ. sez.3^, sent.n. 22331/2014).

La critica che la decisione della Corte di Appello riceve dalla sentenza in esame riguarda piuttosto un altro aspetto meritevole di sottolineatura: la mancata considerazione della condotta realmente esigibile dalla struttura psichiatrica in quel particolare contesto in cui è avvenuto l’evento e quindi si è prodotto il danno.
La censura riguarda quindi il nesso di casualità tra la condotta esigibile e il danno.
La condotta imprevedibile dell’attrice, in sostanza, rileva al fine di verificare l’eventuale ricorrenza di quella causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso impossibile la prestazione (da provarsi, ex art. 1218 c.c., da parte del debitore danneggiante) e quindi sul piano non del rapporto causale ma quale fattore esonerativo della sua responsabilità per inadempimento secondo quanto disposto dal cit. art. 1218 c.c.

La sentenza della Corte di Appello, una volta ritenuto che il nesso di causalità materiale fosse provato, non si è interrogata sul diverso comportamento che, anche alla luce delle peculiari condizioni del caso concreto (stato gestazionale della paziente e impossibilità di praticare trattamenti farmacologici) si sarebbe potuto (dovuto, anzi) esigere dalla struttura sanitaria.
La Cassazione censura quindi la sentenza impugnata perché la Corte di Appello ha operato una unificazione arbitraria dei due cicli (anzidetti in questa nota) nei quali si articola la responsabilità sanitaria. Valutazione ancora più sbagliata se si considera che la Corte catanzarese, pur dando atto della impossibilità di realizzare una immobilizzazione assoluta della degente, ha, nondimeno, concluso nel senso che i presidi adottati (consistiti comunque nell’applicazione di fasce a fibre acriliche, finalizzate a bloccare mani, piedi e busto della paziente, chiuse con bottoni speciali a calamita, nonché nella costante vigilanza della stessa) non fossero stati affatto adeguati alla situazione, senza chiarire quali misure alternative avrebbero dovuto essere adottate per scongiurare l’evento.

In conclusione, ritengo che la sentenza in esame assuma una particolare importanza per l’utile riepilogo e approfondimento circa la peculiare configurazione che il “sottosistema” della responsabilità per attività sanitaria riveste nell’ambito del sistema generale della responsabilità contrattuale, soprattutto con riflessi sul nesso causale.
Nella responsabilità sanitaria non vale tout court quanto rileva nella responsabilità contrattuale in genere, ossia che il danno evento è immanente all’inadempimento. Ciò che rileva nel “diverso territorio del facere professionale” è il necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta. Ecco perché rileva il diverso rapporto eziologico tra condotta esigibile e danno, dopo che sia stato accertato il nesso tra inadempimento e danno.

Analisi approfondita e ricostruzione completa, che hanno portato la Corte a dare in parte ragione, tra gli altri, alla struttura sanitaria ricorrente, che altrimenti si sarebbe vista costretta a rispondere dell’evento lesivo subito dalla paziente solo perché dalla condotta omissiva si era determinato il danno stesso, senza quindi avere la indicazione circa la diversa condotta che avrebbe dovuto tenere per proteggere la paziente. Si è evitata, almeno questo volta, che una struttura sanitaria rispondesse di danni sulla base dell’applicazione de plano di un sofisma giuridico (dato che l’evento si è verificato, il danno stesso è dovuto alla condotta omissiva).

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