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Notizie dalla Liguria

CCNL. Cittadini: “Bene l'apertura Ministro, sia così tempestivo anche per chi opera nelle strutture private”

Dichiarazioni pubblicate su Quotidiano Sanità lo scorso 23 novembre 2018

"L’apertura del Ministro Giulia Grillo alle richieste dei sindacati dei medici che operano nella componente di diritto pubblico del SSN, è un’ottima notizia. Chiediamo che possa essere attivato, con la stessa tempestività, un confronto anche con la componente del SSN di diritto privato, nella quale lavorano 12mila medici, 26mila infermieri e tecnici e oltre 32mila operatori socio-sanitari, che ogni giorno consentono di dare una risposta alla domanda di salute degli italiani, contribuendo, in modo determinante, all’offerta sanitaria del Paese”, lo dichiara Barbara Cittadini, Presidente Nazionale AIOP, a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro della Salute.

Gdpr. Valutazione di impatto per i trattamenti transfrontalieri

Il Garante individua le operazioni a rischio

D’ora in poi, pubbliche amministrazioni e aziende italiane che effettuano trattamenti di dati volti ad offrire beni e servizi anche a persone residenti in altri Paesi dell’Unione europea avranno uno strumento in più per applicare correttamente il nuovo Regolamento sulla protezione dei dati. Il Garante per la privacy ha predisposto, come stabilito per le Autorità di controllo nazionali dal Gdpr, un elenco delle tipologie di trattamento che i soggetti pubblici e privati dovranno sottoporre a valutazione di impatto. L’elenco recepisce le osservazioni del Comitato europeo per la protezione dei dati al quale era stato sottoposto dal Garante per il prescritto parere.
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Notizie Aiop Nazionale

La presunta malattia infortunio e l’onere della prova
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La presunta malattia infortunio e l’onere della prova

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro: Ordinanza 10331 del 12.04.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La Cassazione, con la pronuncia in commento, ritorna sul tema della salute e della sicurezza sul lavoro e, in particolare, si concentra sulla vexata questio dell’onere della prova in materia di infortuni. Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, una dipendente di una Struttura Sanitaria era incorsa in una presunta malattia - infortunio (Epatite), consistente in un processo morboso conseguente alla penetrazione nell'organismo di germi patogeni. La caratteristica principale di questo tipo di patologie è che, dal punto di vista assicurativo, esse vengono giuridicamente qualificate come infortuni sul lavoro in quanto la causa virulenta viene assimilata alla causa violenta. Tuttavia, al fine di ottenere la qualifica di infortunio, e quindi la copertura assicurativa, risulta necessario provare che il contagio sia avvenuto in occasione del servizio svolto. Com’è facilmente desumibile tale operazione non risulta mai agevole, in particolare nel caso di malattie plurifattoriali come l’Epatite, la cui trasmissione può avvenire attraverso il sangue o tramite lo scambio di fluidi corporei e, pertanto, tanto con un’accidentale puntura, quanto con l’uso promiscuo di rasoi o spazzolini infetti, o anche durante contatti sessuali. Alla luce di quanto sopra, l’INAL, in quanto ente proposto alla qualificazione dell’evento lesivo come infortunio sul lavoro, suggerisce un approccio probabilistico. Ed invero, l’Ente ritiene che, ove l'episodio che ha determinato il contagio non sia stato percepito o non possa essere provato dal lavoratore, il nesso di causalità si possa presumere in ragione delle mansioni svolte e di ogni altro indizio che deponga in tal senso. In altre parole, secondo l’INAL, sarebbe da qualificare come malattia - infortunio ogni patologia contratta da un lavoratore, le cui mansioni siano potenzialmente idonee a determinare il contagio. Con l’ordinanza in commento, la Cassazione ha modificato radicalmente tale visione dell’Ente, poiché eccessivamente gravosa per le Aziende, le quali, nell’interpretazione offerta, al fine di negare che l’evento lesivo sia occorso sul luogo di lavoro, dovrebbero adempiere alla cd. probatio diabolica, ovvero dimostrare che nel lungo e variabile periodo di incubazione della patologia il lavoratore non sia stato esposto ad alcun fattore astrattamente idoneo al contagio. Ed infatti, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio già enunciato nella Sentenza n. 12364/2014, ritenendo che “la malattia professionale in questione (epatite cronica anti Hcv positiva) è ad eziologia plurifattoriale, sicché la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità”. In altre parole la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso della lavoratrice, ha confermato il percorso logico seguito dalla Corte d’Appello di Catanzaro e ritenuto che, in caso di presunte malattie - infortuni, l’onere della prova ricada sul lavoratore, il quale è tenuto a dimostrare con un buon grado di certezza, che il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro, non risultando sufficiente la potenziale esposizione ad organismi patogeni.
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