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Notizie dalla Liguria

CCNL. Cittadini: “Bene l'apertura Ministro, sia così tempestivo anche per chi opera nelle strutture private”

Dichiarazioni pubblicate su Quotidiano Sanità lo scorso 23 novembre 2018

"L’apertura del Ministro Giulia Grillo alle richieste dei sindacati dei medici che operano nella componente di diritto pubblico del SSN, è un’ottima notizia. Chiediamo che possa essere attivato, con la stessa tempestività, un confronto anche con la componente del SSN di diritto privato, nella quale lavorano 12mila medici, 26mila infermieri e tecnici e oltre 32mila operatori socio-sanitari, che ogni giorno consentono di dare una risposta alla domanda di salute degli italiani, contribuendo, in modo determinante, all’offerta sanitaria del Paese”, lo dichiara Barbara Cittadini, Presidente Nazionale AIOP, a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro della Salute.

Gdpr. Valutazione di impatto per i trattamenti transfrontalieri

Il Garante individua le operazioni a rischio

D’ora in poi, pubbliche amministrazioni e aziende italiane che effettuano trattamenti di dati volti ad offrire beni e servizi anche a persone residenti in altri Paesi dell’Unione europea avranno uno strumento in più per applicare correttamente il nuovo Regolamento sulla protezione dei dati. Il Garante per la privacy ha predisposto, come stabilito per le Autorità di controllo nazionali dal Gdpr, un elenco delle tipologie di trattamento che i soggetti pubblici e privati dovranno sottoporre a valutazione di impatto. L’elenco recepisce le osservazioni del Comitato europeo per la protezione dei dati al quale era stato sottoposto dal Garante per il prescritto parere.
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Notizie Aiop Nazionale

Il “tempo tuta”
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Il “tempo tuta”

Sentenza della Corte di Cassazione n. 22382 del 13.09.2018

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte, nel solco del filone giurisprudenziale tracciato dalla pronuncia n. 2837/2014 e recentemente ripreso dalle nn. 7738/2018 e 9417/2018, ha ribadito il principio in base al quale il “tempo tuta” deve essere retribuito esclusivamente quando è il datore di lavoro a stabilire luogo e tempo della vestizione.
Il richiamato filone giurisprudenziale della Corte, quindi sconfessa il principio secondo cui il “tempo tuta” vada considerato sempre quale attività lavorativa, come sancito nella già commentata sentenza n. 2965/2017 ove si evidenziava che il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientrava necessariamente nell’orario di lavoro e doveva perciò essere retribuito aggiuntivamente.
Nel caso in esame il lavoratore impugnava il licenziamento comminatogli a causa del tenace ed ostinato rifiuto dello stesso di procedere alla svestizione dopo aver timbrato il proprio badge ad aver così posto termine al suo turno di lavoro.
In tutti i gradi di giudizio il ricorso veniva respinto sulla scorta del principio secondo cui: “laddove sia stata data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo ed il luogo ove indossare la divisa … la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita”.
Ed in particolare, il Giudice di Legittimità nel delineare i limiti esterni di tale principio specificava che “solo se tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito”.
Inoltre, la Suprema Corte, nel confermare la sentenza impugnata dal lavoratore e, per l’effetto, il licenziamento, rafforzava il proprio orientamento secondo cui il dipendente non è in nessun caso autorizzato a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario, di eseguire le direttive di parte datoriale, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c. (Cfr. la già segnalata Cass. 21036 del 23.08.2018)
In altre parole, la Cassazione affermava come il dipendente, ove ritenga illegittima una disposizione del datore di lavoro, non sia autorizzato a pretendere autonomamente giustizia. Infatti, in virtù del combinato disposto delle citate norme del codice civile e dell’art. 41 Cost., il lavoratore è autorizzato a negare la propria prestazione, senza incorrere in insubordinazione, solo ove questa comporti un effettivo e dimostrabile pericolo grave ed irreparabile alle personali esigenze di vita, ovvero nel caso in cui l’azienda risulti totalmente inadempiente ai suoi obblighi, quali, a titolo esemplificativo, alla corresponsione degli emolumenti, alla copertura assicurativa e previdenziale, alla sicurezza del luogo di lavoro, previsti dal contratto.
Pertanto, non è affetto da vizi logici o giuridici il giudizio del Giudice che ritenga “ravvisabile una grave e rilevante insubordinazione nel comportamento del lavoratore che, nonostante i ripetuti richiami e l’adozione di provvedimenti disciplinari conservativi, si rifiuti di ottemperare alla disposizione … in base alla quale i lavoratori devono indossare la divisa da lavoro appena giunti in azienda, prima di ogni altra operazione e specificatamente prima di timbrare il cartellino…”.
Inoltre, nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto la condotta del lavoratore aggravata dal ruolo sindacale rivestito dallo stesso, atteso che “essa poteva assurgere per gli altri dipendenti a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi”.
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