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Legittima la sospensione disciplinare del lavoratore che rifiuta di indossare la mascherina
Sentenza Tribunale di Venezia, Sezione lavoro, del 4 giugno 2021
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Con la sentenza in commento, la giurisprudenza ha affrontato la questione relativa alla violazione degli obblighi di sicurezza incombenti sui lavoratori in tempo di COVID-19 e, in particolare, del rifiuto di indossare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), volti a limitare il rischio di diffusione del virus.
Il provvedimento emesso dal Tribunale di Venezia prende le mosse dal ricorso giudiziale presentato dall’azienda al fine di veder accertata la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 3 giornate, inflitta ad un dipendente che aveva rifiutato di indossare la mascherina protettiva, nonché istigato altri colleghi ad omettere l’uso di tale DPI.
Si deve preliminarmente ricordare che la responsabilità del dipendente in materia di sicurezza sul lavoro è sancita dall’art. 20 del D.Lgs. 81/08 (TU sicurezza), alla stregua del quale il “lavoratore” non è un mero destinatario delle norme, ma è tenuto espressamente a farsi parte attiva nella salubrità dei luoghi di lavoro.
Ed invero, il precitato articolo rubricato eloquentemente “obblighi dei lavoratori”, fa ricadere su questi – indipendentemente se con rapporto dipendente o autonomo – l’obbligo di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Sulla scorta di tale principio, il Tribunale, rilevando che le infezioni da COVID-19 occorse in occasione di lavoro sono equiparate ad infortunio ex DL n. 18/20, ha evidenziato come non possa trovare alcuna giustificazione la pretesa del dipendente di non indossare la mascherina sul luogo di lavoro, in quanto non si tratta di una misura né irragionevole, né eccessivamente gravosa, ma espressamente prevista da un Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro siglato il 14 marzo 2020 da Governo, sindacati ed imprese, integrato successivamente dal Protocollo del 24.04.2020 a cui il Legislatore ha inteso conferire forza di legge.
Ed infatti, nel corso dell’emergenza pandemica in atto, il generale obbligo di protezione posto in capo all’imprenditore dall’art. 2087 c.c., è stato attualizzato dai Protocollo condivisi tra il Governo e parti sociali, che prevedevano tra le misure finalizzate a contrastare la diffusione del COVID-19 anche la fornitura di mascherine ai lavoratori, con l’obbligo di indossarle ove non sia possibile mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro [reictus con l’aggiornamento del 06 aprile 2021 l’utilizzo della mascherina chirurgica sul luogo di lavoro è obbligatorio a prescindere dalla distanza interpersonale di un metro].
Inoltre, continua il Giudie Veneziano, con l’art. 1 del DL n. 33/2020, il Protocollo è stato equiparato ad una fonte normativa e, pertanto, il suo rispetto costituisce condizione indefettibile per lo svolgimento dell’attività lavorativa, atteso che il co. 15 del citato articolo prevede finanche la sospensione dell’attività aziendale in caso di violazione delle prescrizioni ivi contenute.
Orbene, nel caso in esame, il lavoratore, tra l’altro Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), non solo aveva in più occasioni sollevato dei dubbi sull’obbligatorietà dell’uso della mascherina chirurgica, ma aveva partecipato ad una riunione sulla sicurezza rifiutandosi di utilizzare tale DPI ed affisso sulla bacheca aziendale un messaggio con cui, in buona sostanza, invitava i propri colleghi a tenere la medesima sua condotta.
Sulla scorta di tale gravissimo comportamento del dipendente, il Tribunale di Venezia ha accolto totalmente il ricorso della società, dichiarando pienamente legittima la sanzione irrogata al lavoratore e condannando lo stesso alla refusione delle spese legali.