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DEF 2022 – Nelle cifre del documento, il futuro prossimo del nostro Servizio sanitario nazionale
Pubblicato dal MEF il nuovo Documento di economia e finanza approvato dal Governo lo scorso 6 aprile. Fino al 2022 previste nuove risorse a valori correnti, destinate verosimilmente ad essere erose in parte dall’incremento dei costi dell’energia e, più in generale, dalle aspettative di un ulteriore balzo dei livelli inflattivi. E a partire dal 2023, una decisa inversione di tendenza che porterà il rapporto Spesa/Pil ad un livello mai registrato negli ultimi trent’anni, neppure nel periodo più cupo della Spending review sanitaria.
Angelo Cassoni, Responsabile Centro Studi AIOP
Dopo le indicazioni sul programma di finanziamento del Servizio sanitario nazionale contenute nella Legge di bilancio 2022, il nuovo Documento di economia e finanza da poco approvato dal Governo traccia un quadro più preciso sulle previsioni di spesa, estendendo al 2025 il periodo di riferimento e confermando però una nuova tendenza al ridimensionamento della quota di risorse pubbliche dedicate alla salute. Una discesa costante, a partire dal confortante dato del 7,5% sul Prodotto interno lordo dell’anno 2020, che lasciava sperare in un riallineamento ai bisogni reali della sanità italiana e ad un avvicinamento ai livelli di riferimento di Francia (9,3%), Germania (9,9%) e Regno Unito (8%). Si passa invece al 6,6% stimato per il 2023, fino a giungere al 6,2% previsto per il 2025.
Un livello così basso del rapporto spesa/Pil non si registrava da più di trent’anni e non era stato toccato neanche nell’ultimo più drammatico periodo di crisi per l’economia internazionale, le cui conseguenze si erano riversate attraverso la politica di Spending review del 2012, sulle famiglie, sulle imprese e sui pazienti.
E, d’altra parte, l’indicatore della spesa sanitaria sul Pil è la cartina di tornasole, il segno tangibile di quanto un Paese sia disposto ad investire per la salute dei suoi cittadini rispetto alla ricchezza che il suo sistema produttivo riesce a creare. Stiamo parlando, oltretutto, di un asset trainante e solido della ricchezza nazionale, alla cui creazione contribuisce restituendo qualcosa come 100 miliardi di euro di valore aggiunto diretto e quasi 78 miliardi di valore aggiunto del suo indotto economico; nel complesso, l’apporto della filiera Life Sciences italiana corrisponde al 10% del PIL nazionale.
Nel capitolo del DEF dedicato alle iniziative governative di riforma per il rilancio dell’economia del Paese, si descrive un disegno di rinnovamento del settore sanitario che dovrebbe portare ad un sistema più efficiente, resiliente ed inclusivo, capace di superare i limiti e le vulnerabilità messe in luce dalla pandemia, ridimensionando nel contempo le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi.
Quello che si evince, tuttavia, osservando nel dettaglio le tabelle che illustrano consuntivi e dati tendenziali, è che dopo la naturale reazione agli effetti dirompenti della pandemia sul sistema, tradottasi in un incremento di risorse nominali pari al 4,6% medio annuo tra il 2019 ed il 2022, si assiste poi ad una decisa inversione di tendenza a partire dall’anno successivo, passando dai 131,7 miliardi del 2022 ai 129,5 del 2025. Considerando, tra l’altro, che l’incremento a valori correnti riconosciuto fino al 2022 potrebbe essere in parte neutralizzato dall’incremento dei costi dell’energia e, più in generale, dalle aspettative di un ulteriore importante balzo dei livelli inflattivi.
Senza contare i riflessi che i massicci investimenti resi disponibili dalla Missione 6 del PNRR, quasi tutti in conto capitale, scaricheranno sul sistema in termini di fabbisogno di ulteriori flussi di spesa corrente per la gestione delle nuove infrastrutture e delle rilevanti quote aggiuntive di personale.
Siamo in presenza dunque di segnali poco rassicuranti, che fanno riaffiorare il timore di un progressivo disimpegno dello Stato e di una ulteriore apertura verso soluzioni di universalismo selettivo, nell’ambito del quale nuovi strumenti ancora in fase di progettazione e riconducibili al c.d. “Secondo pilastro”, potrebbero rivoluzionare il quadro di sostenibilità complessiva della sanità italiana.