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Permessi L. 104/1992, assistenza al disabile per tutto l’orario di lavoro
Cass. Sez. Lav. n. 11999 del 3 maggio 2024.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
L’ordinanza in commento, che fornisce un quadro riepilogativo sul corretto utilizzo dei permessi ex art. 33 L. 104/92, affronta il caso di un lavoratore licenziato per giusta causa, dopo che gli erano state contestate, da parte della banca ex datrice di lavoro, una serie di condotte elusive rispetto alle finalità assistenzialistiche dei permessi di cui alla l. 104/1992, accertate a seguito di investigazioni private commissionate dal datore di lavoro.
Il lavoratore impugnava giudizialmente il predetto provvedimento; tuttavia, l’impugnazione veniva respinta sia dal Tribunale di Velletri, sia dalla Corte d’Appello di Roma, territorialmente competente per il reclamo.
Nei due gradi del giudizio di merito, il lavoratore contestava in particolare la quantità di tempo trascorsa insieme al soggetto per il quale aveva chiesto i permessi ex l. 104, che, a suo dire, sarebbe stato in armonia con le finalità assistenzialistiche cui sottendono dette assenze dal lavoro.
L’accertamento fattuale effettuato dalla Corte, tuttavia, si poneva in contrasto con detta ricostruzione operata dal ricorrente, con consequenziale ulteriore conferma della legittimità del licenziamento. A fronte della doppia pronuncia conforme, il lavoratore proponeva ricorso avanti alla Corte di Cassazione.
In particolare, l’ex dipendente lamentava la violazione dell’art. 2119 cod. civ. (in tema di licenziamento per giusta causa) in riferimento all’art. 33, l. 104/1992, nella parte in cui l’impugnata sentenza affermava che l’intera giornata oggetto di permesso debba essere dedicata all’assistenza dell’invalido; evidenziava in particolare che alcune attività svolte dal lavoratore in permesso potevano essere considerate come latamente collegate da un rapporto eziologico con l’assistenza della madre, riducendo così il “quantum” del tempo non dedicato alla cura del parente.
Tale motivo è stato respinto dalla S.C., la quale ha affermato come sia il dato testuale, sia la ratio legis della legge “104”, confortino l’interpretazione secondo cui il permesso, che, occorre ricordare, è frazionabile anche in ore, debba corrispondere alle ore di lavoro non prestato, e che una diversa condotta integra violazione del principio di buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro (che non beneficia della prestazione), sia nei confronti dell’INPS (che materialmente ne eroga il corrispettivo), di talché, in ipotesi di insussistenza del nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un abuso del diritto.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha richiamato un principio di diritto già affermato da Cass., 2 novembre 2023, n. 30462, ed ha statuito che “grava sul lavoratore la prova di aver eseguito la prestazione di assistenza in un luogo diverso da quello di residenza della persona protetta. Infatti, il permesso ex art. 33 della L. n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza da prestare al disabile ed è rispetto ad essa che l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza”. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo.
La Suprema Corte ha quindi ritenuto che la Corte territoriale avesse correttamente giudicato, con valutazioni in punto di fatto non sindacabili dal Giudice di legittimità, nel ritenere che le assenze dal domicilio non fossero funzionali alla cura, pure in senso lato, dell’invalida, né che il lavoratore avesse assolto l’onere della prova in senso contrario. Dunque, configura abuso del diritto e violazione della clausola generale di buona fede il comportamento del fruitore dei permessi di cui alla l. n. 104/1992 che si dedichi a tutt’altra occupazione, la quale non sia causalmente collegata alla cura dell’invalida o alla necessità di “riprendere fiato” tra una commissione e l’altra (in questo senso anche Cass., ordinanza 2 ottobre 2018, n. 23891; Cass., 25 settembre 2020, n. 20243).
Il ricorso veniva pertanto respinto in tutte le sue proposizioni.