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Notizie dalla Liguria

Rinnovo del contratto della componente di diritto privato del SSN

Il 12 novembre è stata una giornata importante nel percorso di rinnovo del CCNL del personale dipendente (non medico) delle strutture Aiop e Aris.
Al tavolo ministeriale, convocato dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, le parti sociali hanno siglato un documento - preparato dall’Ufficio Studi Aiop e condiviso con Aris, OOSS e Conferenza delle Regioni – nel quale viene determinato l’impatto economico del rinnovo del CCNL, distinto per territorio, che consentirà al Governo di potere predisporre un emendamento, per modificare il DL 95/2012, consentendo, pertanto, alle singole Regioni di finanziare il 50% del suddetto rinnovo.

Il Presidente Cittadini, il Comitato esecutivo e il Direttore Leonardi nei territori Aiop

Continuano gli incontri della Presidenza nazionale con le Sedi regionali

Il 19 giugno hanno incontrato gli Associati Aiop della Puglia, e il suo Presidente, Potito Salatto.
La Presidente nazionale AIOP ha, una volta ancora, manifestato la disponibilità della Sede nazionale ad esaminare specifiche richieste che abbiano una valenza territoriale, ribadendo che il ruolo della Sede è quello di dare una risposta coerente alle esigenze degli Associati in termini di servizi associativi e di condividere e supportare richieste diffuse e comuni, soprattutto, delle Sedi non strutturate.
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Notizie Aiop Nazionale

Legittimo il licenziamento del dipendente che insulti ed offenda sui social anche fuori dall’ambito lavorativo
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Legittimo il licenziamento del dipendente che insulti ed offenda sui social anche fuori dall’ambito lavorativo

Cass. Sez. Lav. n. 6543 del 21 febbraio 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La pronuncia in commento affronta il caso di un dipendente che aveva pubblicato su Facebook commenti offensivi in merito alla decisione di alcuni Stati americani di limitare il diritto all’aborto.

L’azienda lo aveva licenziato per giusta causa, contestando l’inopportunità delle sue espressioni e il fatto che queste potessero danneggiare l’immagine aziendale poiché divulgate in uno spazio aperto di un profilo social. Per legittimare il licenziamento il datore di lavoro aveva aggiunto che era risultato che il dipendente in questione avesse fra i contatti personali del profilo anche diversi colleghi di altri reparti della società. A questo si aggiunga che la società, nel corso dell’istruttoria, aveva provato la presenza di una Social media policy che l’azienda aveva adottato e con cui si regolamentava la condotta che i dipendenti dovevano tenere all’interno dei propri profili social personali.

Impugnava il licenziamento il lavoratore, contestando l’estraneità all’ambito lavorativo dei fatti addebitati durante il procedimento disciplinare, poiché il post che riportava il commento alle risposte dei partecipanti alla pagina del profilo social non faceva espressa menzione del nome della società, trattandosi, piuttosto, dell’esercizio del diritto di espressione e di libertà di opinione. Si conveniva che il linguaggio doveva essere più equilibrato, ma questo non era, secondo la difesa del lavoratore, sufficiente per adottare un licenziamento con effetto immediato.

La Corte di Cassazione, disattendendo le difese del lavoratore e ritenendo la portata di un mezzo social sicuramente più immediata e forte nell’impatto divulgativo rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali,  ha statuito la liceità del potere del datore di lavoro di contestare, laddove necessario, l’utilizzo improprio di quelle espressioni usate dal proprio dipendente per commentare le risposte ricevute sulla propria pagina personale social; tutto questo indipendentemente dal fatto che il comportamento del dipendente in questione riguardasse o meno l’ambito lavorativo. Ciò in quanto l’immagine aziendale, a parere della Corte, rappresenta un bene immateriale dell’impresa e come tale deve essere tutelato dal titolare della stessa, posto che la reputazione aziendale assume un valore economico fondamentale per l’impresa, in quanto correlata alle sue performance produttive.

Nel caso specifico, si era configurata dunque una lesione immediata all’immagine aziendale poiché il contenuto del messaggio pubblicato era stato ritenuto inappropriato dalla collettività dei social. Ed infatti, sebbene il testo del messaggio non riportasse il nome o alcun riferimento diretto dell’azienda, tuttavia, da una indagine, si era poi riscontrato che nel profilo del dipendente in questione appariva la posizione lavorativa e il ruolo del dipendente all’interno dell’azienda. Da qui il riferimento indiretto all’immagine aziendale.

Per i giudici di legittimità, dunque, il potere tradizionale di controllo datoriale ricopre anche la tutela dell’immagine della società stessa, che, quando violata, rappresenta una giusta causa di licenziamento.

 

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