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Notizie dalla Liguria

La scomparsa del Presidente Gustavo Sciachì

Presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000

Lo scorso 25 marzo si è spento l’avvocato Gustavo Sciachì, presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000. Un lungo tratto di strada che rende evidente la grande stima e la fiducia che l’Associazione ha risposto nella sua persona. La sua presidenza ha attraversato il tratto più lungo dei 50 anni della storia dell’Aiop, incidendo profondamente sullo sviluppo dell’Associazione, portandola ad acquisire soprattutto maggiore credibilità e forza nel confronto con le istituzioni regionali e nazionali.

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Intervista al Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, pubblicata su Il Giornale

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile - lancia l'allarme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all' avanguardia. E in questo modo, senza che l' opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all' anca o al ginocchio».

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Notizie Aiop Nazionale

Responsabilità medica a fronte di complicanze e cartella clinica lacunosa
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Responsabilità medica a fronte di complicanze e cartella clinica lacunosa

Tribunale di Como, sentenza del 23 aprile 2018

Annagiulia Caiazza, Ufficio giuridico-sanitario Sede nazionale Aiop

Il Tribunale di Como, nel giudizio deciso con la sentenza del 23 aprile scorso, è stato investito della richiesta risarcitoria formulata da una donna che, dopo aver subito un intervenuto chirurgico a un arto inferiore, presentava una ridotta capacità motoria ricollegabile, secondo la paziente, all'operazione eseguita in regime di day hospital presso una struttura sanitaria. Nonostante i possibili sintomi di complicanze manifestatisi immediatamente dopo il trattamento terapeutico, il personale medico non si era attivato finquando, pochi giorni dopo le dimissioni la situazione si aggravava e portava alla paralisi dell'arto.

Nel giudizio risarcitorio promosso dalla paziente, il consulente tecnico d'ufficio individuava due spiegazioni alternative del fenomeno osservato: da un lato, i pregiudizi erano teoricamente riconducibili alla tossicità dell'anestetico locale; dall'altro, il fattore scatenante poteva essere identificato in una neuropatia, a sua volta determinata da modificazioni posturali dell'arto durante l'intervento oppure dall'erroneo posizionamento della donna sul tavolo operatorio.
Il giudice di Como, aderendo a questa seconda ricostruzione, ha addebitato ai sanitari il non aver tenuto conto di un fattore di rischio presentato dall'attrice, rappresentato dalla sua obesità, ed ha conseguentemente riconosciuto la responsabilità della casa di cura, escludendo peraltro che il fatto che i danni subiti dalla donna siano qualificabili, per la scienza medica, come complicanze, potesse ritenersi di per sé idoneo ad alleggerire la posizione della struttura sanitaria a fronte di interventi di routine.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte messo in evidenza che, in caso di prestazioni medico-chirurgiche «routinarie», spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze siano state determinate dalla sua responsabilità, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento (Cass. civ. sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074; Cass. civ. sez. III, 17 giugno 2016, n. 12516; Cass. civ. sez. VI, 29 luglio 2010, n. 17694; Cass. civ. sez. III, 29 settembre 2009, n. 20806).
La Corte di Cassazione ha talvolta specificato che in siffatta eventualità il giudice di merito, al fine di escludere la responsabilità del medico, non può limitarsi a rilevare l'accertata insorgenza di «complicanze intraoperatorie», ma deve anche verificare la loro eventuale imprevedibilità ed inevitabilità, nonché l'insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l'insorgenza delle predette complicanze, unitamente all'adeguatezza delle tecniche adottate dal chirurgo per porvi rimedio (in tal senso si sono espresse le già menzionate Cass. civ. sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074; Cass. civ. sez. III, 29 settembre 2009, n. 20806).
La Suprema Corte è anche giunta al punto di svalutare totalmente la nozione di complicanza sul piano giuridico, decretandone la sostanziale irrilevanza dal momento che il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2015, n. 13328). Va poi ricordato che un intervento chirurgico di norma routinario non può mai ritenersi «di speciale difficoltà», ai sensi dell'art. 2236 c.c., per il solo fatto che nel corso del medesimo si verifichino delle complicanze (Cass. civ. sez. III, 22 novembre 2012, n. 20586, con cui è stata confermata la decisione di merito, la quale aveva ritenuto di non speciale difficoltà un intervento di isterectomia complicato dalla presenza di aderenze tra i tessuti, le quali avevano causato alla paziente un danno nefrologico).

Sul versante penalistico un'altra pronuncia ha poi negato che la sussistenza di una derivazione causale tra l'operato del ginecologo e il decesso di una paziente in esito a rare ed imprevedibili complicanze sopraggiunte successivamente al momento dell'estrazione del feto premorto, in quanto le sequenze cliniche abbiano evidenziato un'evoluzione anomala e repentina, tale da frapporsi tra la condotta omissiva del medico e l'evento dannoso, assumendo funzione di autonoma causa, da sola idonea a cagionare quest'ultimo e, al contempo, debba escludersi, con elevato grado di credibilità razionale, che l'evento dannoso sarebbe stato evitato, o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità, ove la dovuta induzione del parto fosse stata tempestivamente eseguita (Cass. pen. sez. IV, 9 novembre 2016, n. 47078).

Un ulteriore elemento indicativo della sussistenza della responsabilità medica è connesso alla compilazione della cartella clinica durante le fasi prodromiche e l'esecuzione dell'intervento. Da tale documento non si evincevano, infatti, le manovre effettuate per collocare al paziente sul lettino. Al riguardo, va premesso che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente. Per contro, è quest'ultimo che, in ossequio al principio di vicinanza della prova, può ricorrere a presunzioni ove sia impossibile la prova diretta dell'individuazione del nesso causale tra condotta del medico e lesione dell'integrità psico-fisica, nonché della colpa del medico (Cass. civ. sez. III, 14 novembre 2017, n. 26828; Cass. civ. sez. III, 31 marzo 2016, n. 6209). Quanto al collegamento causale, si è asserito che l'eventuale incompletezza della cartella clinica è una circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass. civ. sez. III, 21 novembre 2017, n. 27561, che, in applicazione del principio, ha confermato la sentenza con cui era stata negata rilevanza causale all'incompletezza della cartella clinica in quanto la documentazione agli atti, anche prodotta dall'attore, era sufficiente ad escludere la responsabilità del medico; Cass. civ. sez. III, 12 giugno 2015, n. 12218.).
È possibile che la lacunosità della cartella clinica sia irrilevante quando la dimostrazione della mancanza del nesso causale sia raggiunta tramite elementi di valutazione estranei a quanto accaduto nel periodo di degenza (Cass. civ. sez. III, 26 giugno 2018, n. 18628). Nondimeno, non è consentito far gravare l'incompletezza della cartella clinica sul paziente, deducendone l'assenza della prova del nesso causale (Cass. civ. sez. III, 8 novembre 2016, n. 22639).

Nel caso di specie, la consultazione della cartella clinica non permetteva di acquisire una conoscenza dettagliata delle manovre effettuate dal personale infermieristico per posizionare la paziente sul tavolo operatorio. Se tali manovre fossero state compiutamente descritte, un osservatore esterno avrebbe potuto verificare la corrispondenza tra quanto eseguito e le linee-guida applicabili a quello specifico intervento. In base ai principi sopra esposti, la lacunosità della cartella clinica non può nuocere alla paziente, sì che le riscontrate carenze sono suscettibili di corroborare la ricostruzione delineata dal consulente tecnico e considerata plausibile dal giudice. Il quadro probatorio conduce a un verdetto sfavorevole alla struttura sanitaria, condannata a ristorare il danno non patrimoniale risentito dall'attrice, nonché a rifondere alla medesima la somma pagata a titolo di spese mediche.

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