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Notizie dalla Liguria

La scomparsa del Presidente Gustavo Sciachì

Presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000

Lo scorso 25 marzo si è spento l’avvocato Gustavo Sciachì, presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000. Un lungo tratto di strada che rende evidente la grande stima e la fiducia che l’Associazione ha risposto nella sua persona. La sua presidenza ha attraversato il tratto più lungo dei 50 anni della storia dell’Aiop, incidendo profondamente sullo sviluppo dell’Associazione, portandola ad acquisire soprattutto maggiore credibilità e forza nel confronto con le istituzioni regionali e nazionali.

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Intervista al Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, pubblicata su Il Giornale

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile - lancia l'allarme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all' avanguardia. E in questo modo, senza che l' opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all' anca o al ginocchio».

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Notizie Aiop Nazionale

Licenziamento nelle aziende con meno di quindici dipendenti: no al tetto delle sei mensilità
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Licenziamento nelle aziende con meno di quindici dipendenti: no al tetto delle sei mensilità

Corte Costituzionale sentenza n. 118 del 21 luglio 2025.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

La Corte costituzionale, nella sentenza in commento, depositata lo scorso 21 luglio, è intervenuta sull’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo numero 23 del 2015, là dove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non occupi più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva, l’ammontare delle indennità risarcitorie «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità» dell’ultima retribuzione di riferimento.

La questione è stata sollevata dal Tribunale di Livorno in relazione al giudizio di impugnazione di un recesso intimato a una lavoratrice assunta nell’aprile 2015 da una società con “alle proprie dipendenze al massimo quattordici lavoratori” , il quale aveva ritenuto che la disciplina contenuta nell’articolo 9, comma 1, che per i datori di minori dimensioni prevedeva una tutela indennitaria dimezzata rispetto a quella ordinaria, “costretta in una forbice ridottissima, da tre a sei mensilità”, fosse in contrasto, tra gli altri, con i fondamentali principi costituzionali di uguaglianza e di ragionevolezza. Secondo il Tribunale, tale previsione non solo determinava un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori dipendenti da imprese con più di quindici dipendenti - destinatari della tutela reintegratoria insieme a quella indennitaria, ovvero della sola tutela indennitaria fino a trentasei mensilità - ma disegnava anche una “tutela standardizzata”, che escludeva ogni “personalizzazione del risarcimento» e, poiché troppo esigua, era inidonea a «garantirne l’adeguatezza e congruità oltre che il ruolo deterrente”.

Orbene, la Corte Costituzionale, in accoglimento della tesi del Giudice remittente, ha quindi ritenuto che “quel che confligge con i principi costituzionali, dando luogo a una tutela monetaria incompatibile con la necessaria «personalizzazione del danno subito dal lavoratore» (sentenza n. 194 del 2018), è … l’imposizione di un tetto, stabilito in sei mensilità di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e insuperabile anche in presenza di licenziamenti viziati dalle più gravi forme di illegittimità, che comprime eccessivamente l’ammontare dell’indennità. Tale significativo contenimento delle conseguenze indennitarie a carico del datore di lavoro – che si impone sul limite massimo specificamente previsto in relazione a ciascun tipo di vizio e già oggetto di dimezzamento con riguardo ai datori di lavoro con un numero limitato di dipendenti, per effetto del medesimo art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 – delinea un’indennità stretta in un divario così esiguo (ad esempio, da tre a sei mensilità nel caso dei licenziamenti illegittimi di cui all’art. 3, comma 1, del citato decreto legislativo) da connotarla al pari di una liquidazione legale forfetizzata e standardizzata. Ma una siffatta liquidazione è stata già ritenuta da questa Corte inidonea a rispecchiare la specificità del caso concreto e quindi a costituire un ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore, adeguato a garantirne la dignità, nel rispetto del principio di eguaglianza. Tale ristoro può essere delimitato, ma non sacrificato neppure in nome dell’esigenza di prevedibilità e di contenimento dei costi, al cospetto di un licenziamento illegittimo che l’ordinamento, anche nel peculiare contesto delle piccole realtà organizzative, qualifica comunque come illecito (sentenza n. 150 del 2020)”.

La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto illegittimo l’art. 9 co. 1 D.Lgs. 23/2015 limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.

Ciò detto, a seguito della richiamata pronuncia, il risarcimento per licenziamenti illegittimi da parte di datori di lavoro con meno di 15 dipendenti non sarà più soggetto al tetto delle sei mensilità. 

Pur restando in vigore il dimezzamento previsto dal d.lgs. 23/2015, si amplia la forbice risarcitoria: 

  • dai precedenti 3-6 mesi si passa ad un intervallo potenziale di 3-18 mensilità, allineato alla metà della fascia prevista per le grandi imprese (6-36 mensilità).

Di fatto sarà il giudice del lavoro, caso per caso, a determinare l’importo dell’indennità, tenendo conto di vari elementi:

  •  anzianità del lavoratore, 
  • gravità della violazione,
  •  comportamento delle parti
  • caratteristiche dell’impresa, tra cui non solo il numero di dipendenti, ma anche fatturato e bilancio

 

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