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Notizie dalla Liguria

Professioni sanitarie. Firmato il decreto attuativo che istituisce i nuovi albi

Decreto attuativo della legge n. 3 del 2018

È stato firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il primo decreto attuativo della legge n. 3 del 2018, meglio conosciuta come la legge che ha riformato il sistema ordinistico delle professioni sanitarie in Italia. Si tratta del decreto che istituisce gli albi delle 17 professioni sanitarie, fino ad oggi regolamentate e non ordinate, che entreranno a far parte dell’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Dalla privacy alla cybersecurity, le strutture cercano nuove figure

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana, in grado di tutelare la privacy e i dati sanitari dei pazienti, o difendere le strutture dai cyberattacchi informatici. La sanità sta cambiando volto, anche quella privata. "Con l'espansione del settore delle cure per gli anziani, negli ospedali e nelle Rsa queste figure tradizionali sono molto richieste. Ma accanto a loro vediamo anche emergere la domanda di professionalità nuove, con competenze trasversali". Parola del direttore generale di Aiop, Filippo Leonardi, che con l'Adnkronos Salute fa il punto sulle professioni più gettonate dalle aziende e dai gruppi del settore nel nostro Paese.
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Notizie Aiop Nazionale

Anche al lavoratore dimissionario in ragione del trasferimento oltre i 50 km compete la Naspi
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Anche al lavoratore dimissionario in ragione del trasferimento oltre i 50 km compete la Naspi

Tribunale di Torino Sezione lavoro sentenza n. 429 del 27 aprile 2023.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La pronuncia in commento affronta il caso di una lavoratrice, dimessasi per giusta causa stante il trasferimento ad una unità produttiva distante oltre 50 km rispetto alla sua residenza, alla quale l’INPS ha rigettato la richiesta di accedere alla Naspi. Nello specifico, l’istituto, richiamando il messaggio n. 369/2018, ha rilevato che, per poter accedere all’indennità Naspi, la cessazione del rapporto deve avvenire per risoluzione consensuale. Diversamente, sempre a parere dell’INPS, in caso di dimissioni per giusta causa, è necessario che il dipendente provi che il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Pertanto, in caso di dimissioni il lavoratore potrà accedere alla Naspi solo se correda la relativa domanda con documentazione (quale la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli articoli 38 e 47 del D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di difendersi in giudizio nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., nonché ogni altro documento idoneo) impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale.

La lavoratrice, ritenendo illegittimo tale provvedimento di rigetto, ha evocato in giudizio l’INPS al fine di ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire la NASPI.

Il Tribunale di Torino, nell’accogliere il ricorso, ha disatteso la prassi dell’INPS, così come definita nel messaggio n. 369/2018, anche alla luce della normativa di riferimento, ed ossia del D.Lgs. n. 22/2015, che ha posto quale requisito fondamentale per l’accesso al trattamento Naspi (oltre a quello lavorativo e contributivo) la perdita involontaria dell’occupazione. Sul punto il Tribunale di primo grado rileva che, al fine di valutare se il lavoratore abbia “perduto involontariamente l’occupazione, occorre verificare se la scelta di dimettersi sia frutto di una decisione spontanea e volontaria del lavoratore oppure indotta da notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento ad altra sede imposto dal datore di lavoro”.

Prosegue quindi il Giudice, sostenendo che “è lo stesso Istituto che ritiene che il trasferimento ad altra sede dell'azienda, distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici, configuri una notevole variazione delle condizioni di lavoro. Notevole variazione delle condizioni di lavoro che rende involontaria la perdita dell'occupazione e radica il diritto alla prestazione anche in ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; ipotesi, quest’ultima, in cui la perdita dell’occupazione dipende (anche) dalla scelta volontaria del lavoratore”.

Pertanto, secondo il Tribunale, le dimissioni rassegnate dalla citata lavoratrice devono ritenersi involontarie “perché determinate da una condotta datoriale che ha reso obbligata la scelta del dipendente, di qui la ricorrenza nella fattispecie in esame del requisito della “perdita involontaria” dell’occupazione”.

Su tali presupposti, il Tribunale ha quindi accolto il ricorso della lavoratrice e riconosciuto il diritto della medesima all’indennità di disoccupazione.

 

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