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Legittimo il licenziamento del lavoratore che si auto-approva straordinari e permessi
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Legittimo il licenziamento del lavoratore che si auto-approva straordinari e permessi

Cassazione sez. Lavoro n. 19165 del 14 giugno 2022.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La pronuncia in commento ha affrontato il caso di una lavoratrice alla quale era stata contestata l’utilizzazione della propria utenza di Amministratore di Sistema per l'inserimento in esso, in auto-approvazione ossia senza la previa autorizzazione del responsabile, delle ore di straordinario effettuate tra il 5 e il 22 aprile 2016; di timbratura in ingresso il 4 aprile 2016 alle ore 10,31 con la causale "indisposizione", senza richiesta di autorizzazione scritta del responsabile; di inserimento nel sistema della pausa pranzo del 20 aprile 2016 dalle ore 13,06 alle ore 14,06 senza approvazione del responsabile), riconducibili al comune elemento essenziale della auto-approvazione, anche in riferimento alla peculiare mansione svolta.

La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, con cui il Tribunale aveva disposto la risoluzione del rapporto di lavoro, condannando la società al pagamento della somma di Euro 58.297,00, in favore della lavoratrice a titolo di indennità pari a venti mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, sul presupposto dell'esistenza e antigiuridicità delle condotte contestate ma di sproporzione della sanzione espulsiva, in relazione alla loro gravità, dichiarava la piena legittimità del licenziamento. E ciò sulla base della normativa regolamentare (in particolare, art. 3 di un manuale operativo del 2004, prescrittivo di una procedura non osservata), non integrabile dalla prassi aziendale.

La ex dipendente impugnava la pronuncia di secondo grado innanzi la Corte di Cassazione, deducendo, tra i diversi motivi, che la Corte territoriale non avesse considerato l’esistenza di una prassi aziendale giustificante la sua condotta, sull’erroneo presupposto di un suo consolidamento soltanto in assenza di una positiva regolamentazione (nel caso di specie: manuale operativo del 2004, in particolare al suo art. 3, non più aggiornato), invece integrativa dei regolamenti aziendali e tale da ricondurre i comportamenti contestati alla lavoratrice al codice disciplinare, con la conseguente insussistenza del fatto, sotto il profilo della sua non antigiuridicità per irrilevanza disciplinare.

Orbene, la Corte Suprema, riteneva tale motivazione assolutamente marginale nel percorso decisionale della Corte di Appello.

In via preliminare ribadiva che “l'uso aziendale, integrato dalla reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, appartiene al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perchè, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, così da agire sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass. 8 aprile 2010, n. 8342; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3296; Cass. 19 gennaio 2017, n. 1321)”.

Pur tuttavia, gli Ermellini, seppur correggendo in punto di diritto l’affermazione della Corte d’Appello “secondo cui la prassi può considerarsi solo in assenza di positiva regolamentazione”, ritenevano che nel caso di specie “l’auto-approvazione da parte del lavoratore” non fosse giustificata, essendo la ricorrente edotta, ancor più in quanto Amministratrice di sistema, che l’autorizzazione alle sue richieste dovesse provenire preventivamente dalla responsabile.

Ciò detto, la Cassazione ha confermato la pronuncia di secondo grado, sancendo che “la Corte territoriale ha operato una valutazione, congruamente argomentata, per la quale ha escluso (all'ultimo capoverso di pg. 16 e al primo di pg. 17 della sentenza) la coincidenza delle condotte della lavoratrice con la previsione di ipotesi sanzionabili in via conservativa (art. 9 del CCNL) e pure la loro riconducibilità al licenziamento con preavviso (art. 10, lett. A del CCNL); e così ritenuto, in base alla pluralità delle condotte, alla loro gravità e intenzionalità, in considerazione delle mansioni svolte da D.N.L., il suo comportamento idoneo a lederne irreparabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e la medesima”.

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