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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

Mancato rientro dopo aspettativa per motivi di salute e licenziamento
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Mancato rientro dopo aspettativa per motivi di salute e licenziamento

Cass. Civ. Sez. Lavoro ordinanza n. 22819 del 12 agosto 2021

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Sez. Lavoro ordinanza n. 22819 del 12 agosto 2021

Nell’ordinanza in commento è stato affrontato il caso di una lavoratrice che, dopo  una lunga assenza per maternità e congedi parentali, si riassentava per  malattia, L’azienda, dopo un anno, comunicava alla stessa l’imminenza della scadenza del periodo di comporto, informandola della possibilità di richiedere un periodo di aspettativa per motivi di salute per una durata massima di 12 mesi. La dipendente fruiva dunque di detto periodo di aspettativa e, dopo dodici mesi, richiedeva il rientro in servizio specificando di non voler tornare presso gli uffici ove precedentemente era collocata, ma di essere posta in altra sede e non tra il personale viaggiante.

L’azienda invitava la lavoratrice a presentarsi in ufficio per essere sottoposta, nei giorni successivi, alla visita medica ai sensi dell’art. 41, comma 2, lettera e-ter), del D.lgs. n. 81/2008, ossia la “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”.

Tuttavia, quest’ultima non si presentava nei giorni successivi, adducendo che la propria assenza fosse dovuta alla mancata risposta alla richiesta di cambio ufficio. Di conseguenza l’azienda contestava l’assenza ingiustificata dal servizio, irrogando la sanzione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

La lavoratrice impugnava dunque il licenziamento, deducendo che non avrebbe potuto riprendere l’attività lavorativa senza essere sottoposta, in via preventiva, a visita medica ex art. 41, comma 2 lett. e-ter) del D. Lgs. 81/2008. Tuttavia, i giudici di appello rilevavano che tale visita non costituisse una “condicio iuris alla ripresa dell’attività lavorativa e che la stessa andava attivata su iniziativa datoriale e non del lavoratore”. Dunque, il rifiuto della dipendente di riprendere l’attività lavorativa integrava un’assenza ingiustificata che legittimava la sanzione espulsiva.

Avverso la decisione della Corte di Appello, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione, cui resisteva il datore di lavoro con controricorso.

La Suprema Corte, confermando la sentenza di secondo grado, specificava che, pur potendo il lavoratore legittimamente rifiutarsi di eseguire la prestazione in mancanza di effettuazione della visita medica, posto che tale incombente prescritto dalla norma si colloca all’interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l’incolumità e la salute del prestatore di lavoro, diverso era il caso in cui il lavoratore rifiutasse preventivamente di presentarsi in azienda. La Corte di Cassazione infatti sottolineava che in ipotesi del genere, venendo a mancare il titolo che giustificava l’assenza (come nel caso di specie in cui la lavoratrice aveva superato il periodo di aspettativa richiesto), non poteva ritenersi consentito al dipendente di rifiutare di presentarsi sul posto di lavoro, posto che tale richiesta di presentazione è da considerarsi “momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretta a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa (cfr. Cass. 7566/2020).

In conclusione, fermo l’obbligo per il datore di lavoro di tutelare la sicurezza del dipendente e quindi di disporre visita medica nel caso di assenza prolungata oltre il periodo di 60 giorni, il lavoratore non può legittimamente evitare il rientro in azienda e sottrarsi alla presenza.

La Corte di Cassazione riteneva quindi ingiustificato il rifiuto apposto dalla ricorrente, confermando la legittimità del licenziamento disciplinare con preavviso.

 

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