In data 6.4 u.s. è stato sottoscritto dalle parti sociali un nuovo Protocollo per la sicurezza degli ambienti di lavoro non sanitari, il cui testo è stato condiviso dalle Organizzazioni datoriali e dalle OSS, alla presenza dei Ministeri del Lavoro e della Salute.
Preliminarmente, si segnala che il documento in parola, aggiorna e rinnova i precedenti accordi promossi dai precitati dicasteri, di tal che anche tale Protocollo è ricompreso nella previsione di cui all’art. 29-bis del Decreto Legge n. 23/2020, così come convertito in Legge n. 40/2020, e, pertanto, il rispetto delle disposizioni ivi contenute è condizione per l’adempimento degli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. da parte dei datori di lavoro pubblici e privati.
Inoltre, si deve ricordare che, al pari del testo del 14 marzo, l’odierno Protocollo è da intendersi applicabile anche alle Strutture Sanitarie. Ed infatti, lo specifico Protocollo per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della sanità del 24.04.2020 prevede espressamente che lo stesso “costituisce un addendum al protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus sars-cov-2 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 14 marzo 2020 tra le parti sociali”.
Orbene, ferme le suesposte premesse, richiamiamo in questa sede le precedenti Circolari nn. 051/2020 e 111/2020 in argomento per la trattazione organica delle disposizioni rimaste invariate ed illustriamo di seguito le novità del documento.
Anzitutto, il Protocollo prende ora in esame misure di sicurezza maggiormente aggiornate, tenendo conto dei vari provvedimenti adottati dal Governo (si veda da ultimo il DPCM del 02 marzo 2021), nonché dell’esperienza maturata nel corso della pandemia.
In primo luogo, è stato inteso fare chiarezza con riferimento alla questione del rientro al lavoro dei cd. positivi long term, ovvero coloro che risultano ancora positivi dopo 21 giorni dalla contrazione del Sars-CoV-2.
Ed invero, la Circolare del Ministero della Salute n. 32850 del 12.10.2020, la quale prevede che “in caso di assenza di sintomatologia … da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi” si è sin da subito posta in contrasto interpretativa con quanto previsto dai vari Protocolli di sicurezza che hanno sempre previsto che “L’ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi all'infezione da COVID 19 dovrà essere preceduto da una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione” del tampone”.
Con il Protocollo in commento viene precisato che l’interruzione dell’isolamento fiduciario previsto dalla precitata Circolare Ministeriale ha dei presupposti del tutto diversi dal rientro in servizio del lavoratore, il quale, ai sensi della nuova disciplina “saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario”.
Inoltre, il documento in commento ha previsto, per la generalità dei lavoratori che sono risultati positivi al tampone con ricovero ospedaliero, l’obbligatorietà della visita del Medico Competente ai sensi dell’art. 41 comma 2, lett. e-ter del D.Lgs. 81/2008 e ss.mm.ii. prima della ripresa in servizio, al precipuo scopo di verificare l’idoneità del lavoratore alla mansione, nonché per valutare profili specifici di rischiosità. Tale previsione opera una deroga espressa alla disciplina del T.U. sulla sicurezza, atteso che la visita è prevista “indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.
Quanto alla gestione delle assenze dei lavoratori determinate da cause legate all’emergenza pandemica in atto, il Protocollo anzitutto ribadisce che “sono incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva”. Tuttavia, ove l’assenza del lavoratore sia determinata dall’organizzazione aziendale, è stato espressamente previsto l’utilizzo “in via prioritaria degli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione” e, solo nel caso in cui tali istituti non risultino sufficienti, sarà possibile utilizzare “i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti”.
Con riferimento ai Dispositivi di Protezione Individuale il documento in parola ha confermato che il datore di lavoro, previa consultazione delle Rappresentanze Sindacali, può integrare le misure previste dal Protocollo “con altre equivalenti e più incisive secondo la peculiarità della propria organizzazione”. In altre parole, è stato previsto che l’adozione delle misure disposte dal Protocollo libera il datore di lavoro dalla responsabilità di cui all’art. 2087 c.c., ma questo, al fine di tutelare la salute delle persone presenti in azienda, ben potrà introdurre delle ulteriori prescrizioni, purché avallate dalla scienza.
Ed infatti, è lo stesso Protocollo che, nel definire espressamente le mascherine chirurgiche quali DPI (prima tale qualifica era solo desunta), sancisce che “laddove … fa riferimento all’uso della mascherina chirurgica, è fatta salva l’ipotesi che, per i rischi presenti nella mansione specifica, siano già previsti strumenti di protezione individuale di tutela di tipo superiore (facciali filtranti FFP2 o FFP3) o di diversa tipologia”.
La predetta disposizione viene rafforzata al punto 6 par. 3, in cui si legge: “nella declinazione delle misure del presente Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro, sulla base del complesso dei rischi valutati a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda, si adotteranno DPI idonei”.
Pertanto, sarà necessario che il datore di lavoro, il medico competente, il RSPP e le RLS/RLST collaborino “nell’identificazione ed attuazione delle misure volte al contenimento del rischio di contagio da virus SARS-CoV-2/COVID-19” (cfr. punto 12, par. 3).
Nel Protocollo è stato altresì rafforzato il ruolo del Medico Competente, il quale, come recentemente ricordato anche dal Garante della Privacy, è l’unico soggetto autorizzato a trattare i dati sanitari dei lavoratori.
Al punto 12 par. 5, il documento in commento, prevede che il predetto medico, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglianza sanitaria, possa “suggerire l’adozione di strategie di testing/screening qualora ritenute utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori”. L’effetto di tale disposizione può essere quello di aver inserito di fatto una ulteriore ipotesi in cui il Medico competente è legittimato a svolgere visita ex art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, nell’ambito della lett. a) del medesimo articolo, la quale dispone che “la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente”.
Quanto al lavoro svolto fuori dai locali aziendali, oltre al lavoro agile è stato inserito nel protocollo anche il lavoro “da remoto”, ossia del telelavoro.
Le due ipotesi si differenziano notevolmente tra loro ed infatti il telelavoro viene definito come una prestazione lavorativa fuori dal contesto aziendale dove la concezione logistica, quindi, risulta preponderante; nello smart working, invece, il lavoratore si trova inserito in una dimensione di tempo e spazio flessibili.
Per l’effetto, ove si opti per il lavoro da remoto, a differenza dello smart working, sarà nelle possibilità dell’azienda predeterminare i tempi di lavoro e le pause, così come espressamente previsto dal punto 8 par. 4.
Infine, sono state inserite alcune deroghe alla previgente sospensione delle attività formative in azienda, le quali sono consentite in presenza “esclusivamente per i lavoratori dell’azienda stessa, secondo le disposizioni emanate dalle singole regioni”.