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Notizie dalla Liguria

Il Tar di Sicilia accoglie il ricorso dell'Aiop

C'era un errore di calcolo e la riduzione incideva solo sui privati. Secondo il Vice Presidente nazionale Aiop e Presidente Aiop Sicilia, Barbara Cittadini: "Registro, non senza soddisfazione, la sentenza del Tar. Mi auguro che possa costituire presupposto e nuova base per la programmazione della rete ospedaliera regionale. Affinché questa possa, finalmente, essere impostata su una reale e virtuosa collaborazione tra amministrazione e operatori del settore ed abbia come unico obiettivo quello di garantire ai siciliani un sistema sanitario efficiente e di qualità".

La cardiochirurgia italiana rischia il collasso

La cardiochirurgia Italiana negli ultimi dieci anni ha modificato il suo aspetto in funzione di quella che è stata l’evoluzione della popolazione e del trattamento medico ed interventistico. La terapia medica e lo stile di vita dei pazienti sono sicuramente migliorati e l’impiego di procedure trancutane e èaumentato in modo considerevole. Si è passati infatti, da un numero di angioplastiche coronariche di 87.622 nel 2003 a 14.1712 nel 2013. Nella pratica cardiologica sono entrati nuovi mezzi di trattamento non presenti 10 anni fa,come ad esempio l’impianto di valvola aortica per via percutanea, e nel solo2013 sono stati trattati con questa metodica 1.743 pazienti.
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Notizie Aiop Nazionale

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Fatto materiale e fatto giuridico. La proporzionalità nei licenziamenti Jobs Act

Corte di Cassazione, sentenza n. 12174 del 08.05.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte si è pronunciata per la prima volta sull’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/15, riaprendo l’annosa problematica del “fatto materiale” o “fatto giuridico” , che aveva diviso la giurisprudenza di merito e suscitato diverse interpretazioni in dottrina.
Ed invero, già la legge 92/12 (cd. Legge Fornero), modificando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha limitato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato, ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, ovvero dei codici disciplinari applicabili”.
La locuzione “insussistenza del fatto contestato” ha dato luogo a diverse interpretazioni, sia in dottrina che in giurisprudenza, sino a giungere all’elaborazione di due contrapposte teorie: da un lato, la teoria del “fatto materiale”, in base alla quale la reintegrazione va circoscritta all’ipotesi d’insussistenza del solo fatto materiale contestato, dall’altro, quella del “fatto giuridico”, secondo cui ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro è necessario considerare non solo la sussistenza del fatto storico materialmente commesso dal lavoratore, ma anche la rilevanza disciplinare e giuridica del fatto, teoria avallata dalla gran parte della giurisprudenza di merito.
Il Jobs Act, con il cennato articolo 3 co. 2 ha abbracciato la teoria del “fatto materiale”, precisando che il giudice dovrà disporre la reintegrazione “esclusivamente nelle ipotesi … in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” (articolo 3, comma 2, Dlgs 23/15).
Tale norma avrebbe dovuto consentire al datore di lavoro di prevedere al momento del licenziamento con certezza (quasi matematica) il rischio di causa, sia in termini di possibile reintegrazione in servizio del dipendente sia, alternativamente, con riferimento al possibile quantum risarcitorio.
Tuttavia, la certezza sanzionatoria ha avuto certamente vita breve. Ed infatti, con la oramai nota sentenza n. 194/18 la Corte Costituzionale ha censurato il meccanismo di quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore in ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento previsto dall’art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015 - ed ossia, un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” - poiché, a dire della Corte, rendeva l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato (Vedi Informaiop n. 279).
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha proseguito l’opera di smantellamento del Jobs Act. Accogliendo il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte ha precisato che “ai fini della pronuncia di cui all’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23 del 2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore … comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.
In altre parole, la Cassazione, con la sentenza in commento, sebbene rilevi come la dipendente si sia inopinatamente allontanata dal posto di lavoro (fattispecie indubbiamente rilevante sotto il profilo disciplinare), compie una valutazione riguardo la sproporzione del licenziamento rispetto al fatto contestato che dovrebbe esserle preclusa, reintroducendo surrettiziamente la discrezionale valutazione della rilevanza disciplinare del comportamento contestato e, così, rischiando di vanificare la portata normativa del D.Lgs 81/2015 con cui il legislatore ha voluto introdurre e specificare l'aggettivo “materiale”.
Tale orientamento, è stato altresì confermato con la Sentenza 14063 del 23 maggio 2019, con cui la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul principio di proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l'inadempimento, precisando che il giudice non può esimersi dall'accertamento in concreto della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione adottata, anche nel caso in cui la condotta sia indicata nelle esemplificazioni previste dalla contrattazione collettiva come ipotesi di licenziamento.
Ed invero, anche in tale giudizio la Cassazione ha ritenuto di effettuare una valutazione di merito, nonostante la condotta tenuta dal lavoratore rientrasse nelle fattispecie tipizzate che il CCNL applicato in azienda sanzionava con provvedimenti non conservativi.
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