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Il ruolo di Aiop nella formazione continua

di Gabriele Pelissero - La formazione, soprattutto quella di rango ECM, si conferma come un'opportunità che può portare gli operatori ad innalzare i livelli qualitativi delle proprie prestazioni e performance complessive delle strutture nelle quali prestano Ia propria attività, oltre che a ridurre drasticamente i rischi connessi con l'opera quotidiana al servizio dei pazienti. L'apporto della formazione continua in medicina resta fondamentale e lo sforzo posto in essere dalla Commissione Nazionale, anche nell'organizzazione dei Forum annuali, tende a fornire a tutti gli attori del sistema (strutture, Provider, organismi istituzionali) gli strumenti più idonei per valorizzarne iI ruolo e l'importanza in un ambito così particolare e delicato.

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La formula “a saldo e stralcio e nulla più a pretendere” non costituisce rinuncia o transazione
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La formula “a saldo e stralcio e nulla più a pretendere” non costituisce rinuncia o transazione

Tribunale di Palermo Sez. Lavoro sentenza n. 1162 del 7 aprile 2022

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale  

 

La pronuncia in esame torna ad affrontare una questione – che spesso costituisce prassi in azienda -, in cui il lavoratore, a fronte del pagamento di una somma di denaro da parte del datore, dichiari di accettare la stessa a saldo e stralcio e di non avere più nulla a pretendere, senza che detta dichiarazione venga rilasciata in ambito di “sede protetta”.

Nel caso specifico, un dipendente aveva citato il proprio datore di lavoro chiedendo la condanna al pagamento della indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti, decurtata la somma già percepita. Infatti, la parte ricorrente aveva accettato la somma di € 3.000,00 a titolo di “crediti per mensilità arretrate a saldo e stralcio e nulla più a pretendere”, con una apposita nota. Parte resistente eccepiva l’infondatezza della pretesa e, in subordine, la prescrizione del suddetto credito.

Il Tribunale palermitano, pur rilevando che il lavoratore aveva accettato una somma, inferiore al credito fatto valere, a titolo di “mensilità arretrate a saldo e stralcio e nulla più a pretendere”, ha ritenuto fondate le pretese del lavoratore e ha condannato l’ex datore di lavoro al pagamento del credito,  ritenendo che, contrariamente a quanto da questi sostenuto, la suddetta nota non potesse assurgere al rango di rinuncia o transazione, ma piuttosto di “quietanza a saldo” da parte del lavoratore, stante il tenore letterale della stessa, dal quale era possibile ravvisare gli estremi di una semplice dichiarazione di scienza e non anche di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto.

Il Giudice, nel motivare la propria decisione, ha innanzitutto richiamato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui: La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme e che sia riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi (cfr. Cassazione n. 23296/2019; Cass. 13731/2006)”.

Nel caso di specie – continua la sentenza – la sintetica dichiarazione non contiene particolari elementi di interpretazione – né questi ultimi sono desumibili aliunde - dai quali risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare ai propri diritti. D’altronde, la generica formulazione dell’imputazione di pagamento della suddetta nota non consente di ritenere che la somma menzionata sia stata corrisposta a titolo di ferie e permessi non goduti.

A ciò si aggiunga che, nonostante la pronuncia non ne faccia alcun riferimento, ai sensi dell’art. 2113 c.c., le rinunce e le transazioni, che abbiano per oggetto diritti del prestatore di lavoro, derivanti da disposizioni inderogabili di legge e della contrattazione collettiva, non sono valide  e possono essere impugnate, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima, se non formalizzate in sede protetta (giudiziale, commissione di conciliazione istituita presso l'ITL, le sedi di certificazione, comprese le Università, la commissione di conciliazione istituita in sede sindacale ed i collegi di conciliazione e arbitrato irrituale). Lo scopo della norma è dunque che la formazione dell'accordo avvenga nell'ambito di contesti in cui la volontà negoziale del lavoratore si presuma tutelata da illegittime pressioni da parte del datore di lavoro.

Diversamente, ove, nel caso di rinuncia a diritti retributivi, le parti non intendano ricorrere alle sedi protette, occorrerà comunque redigere atti e dichiarazioni validi inter partes con la massima analiticità, in modo da renderne il contenuto inequivocabile in caso di uso davanti a terzi.

 

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