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Notizie dalla Liguria

Misurare la qualità delle cure. Metodologie e strumenti per l’analisi degli esiti clinici

Al centro congressi di Cernobbio il convegno nazionale Aiop del 10 maggio 2019

“Siamo molto soddisfatti dei risultati emersi dal Rapporto, che confermano, ancora una volta, l’importante contributo che la componente di diritto privato apporta al SSN, e il suo impegno in termini di innovazione e di miglioramento continuo della qualità dell’offerta sanitaria erogata agli italiani. La qualità dell’assistenza rappresenta un fattore determinante per promuovere l’equità e ridurre le disomogeneità territoriali nell’accesso alle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini, in molti casi costretti a spostarsi nelle regioni nelle quali l’offerta sanitaria è programmata in maniera più efficiente e con una maggiore attenzione alla qualità delle cure. Questo studio rappresenta il punto di partenza di un percorso di miglioramento delle performance cliniche che, auspichiamo, possa coinvolgere tutto il SSN, e nel quale la componente di diritto privato ha l’ambizione di voler fare ancora di più e meglio, supportata da politiche adeguate, capaci di non disperdere questo patrimonio di qualità ed efficienza che ci contraddistingue”, commenta Barbara Cittadini, Presidente Nazionale AIOP.

Presentazione 16° Rapporto Ospedali&Salute a Palermo

Lunedì 6 maggio 2019 ore 10:00 - Assemblea Regionale Siciliana - Palazzo del Normanni, Sala Mattarella

Il 16° Rapporto Ospedali&Salute 2018 sarà presentato a Palermo il prossimo 6 maggio, nella splendida cornice della "Sala Mattarella" di Palazzo dei Normanni, Sede del Parlamento Siciliano e patrimonio dell’Unesco.
La presentazione del Rapporto, in un’altra regione, sarà, infatti, un’ulteriore opportunità, per sensibilizzare, una volta ancora, le Istituzioni rispetto al ruolo della componente di diritto privato del S.S.N., in un momento particolarmente importante e delicato, soprattutto, per quanto attiene alla preparazione del prossimo "Patto per la salute 2019-2021".
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Notizie Aiop Nazionale

COVID 19 - La responsabilità del datore di lavoro in caso di contrazione del virus
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COVID 19 - La responsabilità del datore di lavoro in caso di contrazione del virus

Come noto, nell’attuale contesto emergenziale, le strutture sanitarie hanno visto moltiplicarsi gli interventi legislativi in merito alla gestione del personale in caso di contrazione del COVID.

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista

Ad oggi, in materia dispone l’art. 42 del DL n. 18 del 17 marzo 2020, così come convertito dalla Legge n. 27 del 24 aprile 2020, che, al comma 2, sancisce che l’infezione da Coronavirus deve essere fatta rientrare nell’alveo delle malattie infettive e parassitarie e, come tale, è meritevole di copertura INAIL per gli assicurati che la contraggono in occasione di lavoro.
Inoltre, lo stesso INAIL, dapprima con la nota n. 3675 del 17 marzo 2020 e poi con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ha evidenziato un collegamento funzionale tra la contrazione del virus e l’esercizio di attività sanitaria, chiarendo che i contagi da Covid-19 di medici, di infermieri e di altri operatori di strutture sanitarie debbano essere inquadrati nella categoria degli infortuni sul lavoro, specificando altresì che “per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus”.
Pertanto, ove un dipendente di una Casa di cura contragga il COVID, pare opportuno che l’Azienda provveda tempestivamente ad inoltrare all’Ente la denuncia obbligatoria del potenziale infortunio, ricadendo poi in capo all’INAIL l’onere di effettuare valutazioni di merito riguardo la causa lavorativa o meno del contagio. Orbene, come cennato, in materia vige una “presunzione semplice” che, in ambito giuridico, si traduce in un’argomentazione logica attraverso la quale si deduce, da un fatto già provato, l’esistenza di un fatto ignoto, rimettendo la decisione al libero apprezzamento del giudice. La presunzione semplice assurge a mezzo di prova esclusivamente nei casi in cui il fatto possa essere provato per testimoni, o quando sussistano elementi gravi, tali cioè, da attribuire alla conclusione un carattere di certezza assoluta, precisi, cioè non equivoci, e concordanti, che convergono a dimostrazione del fatto ignoto. Inoltre, è sempre ammessa prova contraria volta a esonerare il datore di lavoro da responsabilità che, nel caso di specie, è costituita dall’adozione da parte dell’azienda di una serie di misure anti-contagio. 
Ad indicare nel dettaglio quali siano le misure per il contrasto al contagio da COVID è intervenuto, da ultimo, l’articolo 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020, che impone a tutte le imprese che non hanno sospeso la propria attività di osservare il “protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali ed aggiornato lo scorso 24 aprile 2020. Tuttavia, il predetto DPCM, da una parte, non prende in considerazione diversi aspetti della specifica disciplina a cui sono soggetti gli operatori sanitari e, dall’altra, tralascia quali siano le conseguenze a cui potrebbe andare incontro il datore di lavoro che si veda attribuire la responsabilità di un infortunio attraverso un meccanismo presuntivo. In primo luogo, si deve ricordare come l’onere ex art. 2087 c.c. in capo al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee ad evitare il contagio del dipendente sia quantomeno gravato dalla disposizione di cui all’art. 14 della Legge 27 del 24.04.2020, alla stregua del quale agli operatori sanitari non si applica l’istituto della cd. quarantena fiduciaria, potendo questi sospendere l’attività lavorativa esclusivamente “nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per COVID-19”, limitando, di fatto, le possibilità di prevenzione delle Strutture sanitarie. Inoltre, la qualificazione del COVID come infortunio sul lavoro (e non come malattia professionale) ha diverse ricadute sull’impianto sanzionatorio, poiché il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p., finanche all’omicidio colposo qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.). 

Per quanto concerne quest’ultima aggravante, nei delitti colposi derivanti da infortunio sul lavoro, non è necessario che siano violate norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa della violazione del cennato art. 2087 c.c. che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Alla stregua di quanto sopra, pare auspicabile che il Legislatore intervenga al fine di evitare che una norma, volta ad offrire la tutela assicurativa agli operatori sanitari che profondono le loro energie lavorative in contrasto alla pandemia in atto, comporti una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, il quale, privato di diversi strumenti precauzionali, venga chiamato a rispondere della contrazione del virus che, come ammesso dall’INAIL stesso, nelle Strutture sanitarie è, talvolta, fisiologica.

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