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La proposta part-time assolve all’obbligo di repêchage
Corte di Cassazione, Sez. Lavoro. Ordinanza n. 1499 del 21.1.2019
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 1499 del 2019, ha sancito che la proposta di part-time in alternativa al licenziamento dimostra l’avvenuto assolvimento dell’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro.
La pronuncia in commento, muove dal caso di una lavoratrice che impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole all’esito del rifiuto della riduzione del proprio orario di lavoro a causa della dismissione delle attività del settore banco e biglietteria aerea, presso le quali questa era addetta. In particolare, la lavoratrice riteneva che l’Azienda non avesse adempiuto all’obbligo di repêchage e che l’offerta di lavoro a tempo parziale costituisse solamente un pretesto da parte del datore di lavoro per indurla alle dimissioni, assumendo, pertanto, la ritorsività del licenziamento comminato.
Com’è noto, l’istituto del repêchage trova la sua ratio nello Statuto dei lavoratori che, al fine di legittimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dispone che la risoluzione debba costituire l’extrema ratio.Dalla sua introduzione ad opera della giurisprudenza, l’istituto ha cagionato non poche problematiche in relazione sia alla portata precettiva, che all’onere della prova, giungendo, in taluni casi, a decisioni paradossali, in particolare con riferimento a grandi imprese dislocate su tutto il territorio nazionale.
La Cassazione, di recente, si è orientata nell’ottica di ricondurre l’istituto all’ottica solidaristica e di buona fede nei rapporti tra il datore di lavoro e il lavoratore, anche alla luce del diritto del datore di lavoro ad organizzare la propria attività aziendale secondo scelte imprenditoriali libere e costituzionalmente garantite dall’art. 41 Cost. (Si vedano, da ultimo, Cass. Sez. Lav. n. 30259 del 22.11.2018, n. 27380 del 29.10.2018 e n. 21715 06.09.2018).
Sulla scorta dei cennati principi la Corte di Appello di Ancona, in riforma della Sentenza di primo grado, riteneva che “la proposta di trasformazione del rapporto da full time in part time, formulata poco prima della intimazione del licenziamento”, rifiutata dalla lavoratrice, costituisse prova del tentativo di repêchage posto in essere dalla Società datrice di lavoro.
Ricorreva in Cassazione la lavoratrice, lamentando, tra l’altro, che il licenziamento intimatole non costituisse una extrema ratio, come previsto dalla suesposta normativa. Tale circostanza, a parere della ricorrente, risultava avvalorata dall’assunzione da parte della Società un altro lavoratore per le medesime mansioni precedentemente svolte dalla stessa.
La Suprema Corte, rilevato preliminarmente che tale assunzione non era avvenuta in sostituzione della ricorrente, ma di altra dipendente cessata dal servizio successivamente, confermava il licenziamento intimato e, segnatamente, affermava che le norme idonee a prevenire “la ritorsione o la discriminazione” nei confronti del lavoratore che rifiuti la modifica del proprio orario di lavoro “non possono trovare applicazione laddove tale proposta sia volta ad evitare il licenziamento per motivo oggettivo: in tale caso, pertanto, il recesso datoriale può considerarsi legittimo”.