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Rifiuti. Spetta al Ministero e non alle Regioni qualificare i materiali "non riciclabili"
Consiglio di Stato, sentenza n. 1129 del 28 febbraio 2018
Annagiulia Caiazza, Ufficio giuridico Sede nazionale
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1129 del 28 febbraio 2018 (allegata) ha riconosciuto che spetta al Ministero dell’ambiente e non alle Regioni, il potere di individuare, ad integrazione di quanto già previsto dalle direttive europee, le ulteriori “tipologie” di materiale da non considerare più come rifiuti, in quanto riciclabili, sulla base di un analisi caso per caso.
Il giudizio riguardava l'istanza di un’impresa che era già stata autorizzata dalla Regione Veneto ad un'attività sperimentale per il trattamento ed il recupero dei rifiuti costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni, ed aveva poi chiesto la modifica dell'autorizzazione. La Giunta regionale veneta, recependo il parere reso dalla Commissione tecnica regionale sez. Ambiente, aveva autorizzato l'impresa ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitate l’attività di recupero dei materiali, ma aveva respinto la richiesta di riclassificare alcune operazioni di trattamento di rifiuti, da "attività di messa in riserva di rifiuti R13" ad "attività di recupero R3 finalizzate alla produzione di materie prime secondarie", in mancanza di un'espressa previsione normativa europea riferita a quel tipo di materiali.
In primo grado, il Tar Veneto, con la sentenza n. 1422 del 28 dicembre 2016 (allegata), aveva accolto il ricorso dell’impresa e conseguentemente annullato il diniego, ritenendo che in mancanza di espresse previsioni europee, l’amministrazione potesse valutare caso per caso.
Il Consiglio di Stato, invece, senza entrare nel merito tecnico della questione, alle luce della direttiva 2008/98/CE riguardante la "cessazione della qualifica di rifiuto", ha osservato che:
a) la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa europea;
b) quest’ultima ha previsto che sia comunque possibile per gli Stati membri valutare altri casi di possibile cessazione;
c) tale prerogativa tuttavia compete allo Stato e precisamente al Ministero dell’ambiente, che deve provvedere con propri regolamenti.
Nella la sentenza dei giudici di appello si legge infatti che "Alla luce delle disposizioni innanzi riportate, può, dunque, affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di 'rifiuto' è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione. Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la direttiva, lo 'Stato', che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione. La stessa direttiva Ue, quindi, non riconosce il potere di valutazione 'caso per caso' ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro. Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’ambiente, ed anzi fornendo una lettura del 'caso per caso', non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come 'tipologia' di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria. D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione 'caso per caso' del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata direttiva Ue, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. E’ del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa Ue, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni".