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Fondi per la Ricerca al Sud Italia: il Pnrr non sia un’occasione mancata
Il Ministero dell'Università riscrive il bando che assegna 741,8 milioni, scende così la quota riservata ai progetti di ricerca nel Centro-Sud
Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop
La Missione 4 del Pnrr è dedicata a “Istruzione e Ricerca” e riguarda il finanziamento dei cosiddetti PRIN, acronimo di Progetti di Rilevante Interesse Nazionale.
Il bando Prin 2022 messo a punto dal Mur - dicastero guidato dalla Ministra Maria Cristina Messa - mettendo insieme un po’ di risorse già in cassa, può contare su 741,8 i milioni di euro.
Come per tutti i progetti finanziati dal Pnrr, il 40% delle risorse va riservato al Mezzogiorno, per soddisfare un obiettivo trasversale e primario che è quello dell’inclusione e della coesione territoriale.
I progetti Mur, nello specifico, possono affrontare tematiche relative a qualsiasi campo di ricerca nell’ambito dei tre macrosettori determinati dall’European Research Council (ERC): scienze della vita, scienze fisiche, chimiche e ingegneristiche, scienze sociali e umanistiche.
Se, però, si scorre il bando, si scopre che la quota parte destinata al Sud ammonta a 218 milioni, cioè appena il 29% della cifra a disposizione, invece del 40% previsto dalle regole.
Il 29%, tra l’altro, è anche meno del 34%, che sarebbe il valore pari alla popolazione residente.
I Rettori degli Atenei del Sud si dice siano pronti a dare battaglia per non subire questa penalizzazione e chiedono che siano rispettate le linee guida.
Dal Ministero provano a spiegare dicendo che, a parer loro, il 40% non si applica a tutta la cifra, ma solo a quella “direttamente finanziata dal Pnrr”, da loro individuata in 545 milioni.
In nessuna parte del bando, però, si ricava tale cifra, mentre è chiaro l’obiettivo esplicito del bando stesso, che è di “realizzare gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Non vi sono, dunque, ragioni per discostarsi dalle linee guida, le quali impongono con chiarezza la riserva del 40% al Mezzogiorno.
È bene ricordare che le “quote Sud” non sono lì per caso, servono a ridurre le gravi diseguaglianze, che persistono nel Paese e che sono un problema per la sua crescita.
La crisi pandemica ha, infatti, esacerbato i divari di reddito, di genere e quelli territoriali che già caratterizzavano l’Italia; oggi abbiamo compreso che una ripresa può dirsi solida soltanto se i benefici dello sviluppo e del progresso sono condivisi da tutto il tessuto sociale del Paese.
Sostenere il Mezzogiorno, favorirne la partecipazione al mercato del lavoro, anche, attraverso la formazione, significa creare le condizioni/presupposto per un’Italia che cresca senza profonde diseguaglianze, più forte, moderna e in grado di cogliere e vincere le sfide del futuro.