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Il licenziamento del professionista per carenza di titolo
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Il licenziamento del professionista per carenza di titolo

Tribunale civile di Roma, Sez. Lavoro - Sentenza 6025 del 10.09.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con la Sentenza in commento, il Tribunale Civile di Roma, ha affrontato il caso di un lavoratore licenziato per carenza del titolo abilitante alla professione all’esito delle novelle apportate dal legislatore alla disciplina delle professioni sanitarie.
Ed infatti, come ricordato dal Tribunale di Roma, la legge 3/2018 (cd. legge Lorenzin), nell’istituire gli albi delle professioni sanitarie, ha obbligato il professionista ad iscriversi al relativo albo al fine di poter esercitare ed ha, inoltre, previsto una sanzione penale per “chiunque abusivamente eserciti una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”, nonché disposto la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato.
Nel caso sub judice al lavoratore, dopo dieci anni di servizio, era stato comminato il licenziamento per giustificato motivo all’esito di un controllo da cui risultava come lo stesso fosse in possesso della laurea in terapia della riabilitazione della neuro e psicomotricità della età evolutiva, in luogo del titolo di fisioterapista necessario per svolgere le mansioni richieste dalla Struttura.
L’ex dipendente impugnava la risoluzione del rapporto, lamentando sia l’acquiescenza della Casa di Cura in cui - lo ribadiamo - aveva prestato servizio per dieci anni, che l’equipollenza del titolo da egli posseduto con la laurea in fisioterapia.
Il Giudice di prima fase, nell’emettere l’ordinanza all’esito dell’istruttoria sommaria, accoglieva le doglianze del lavoratore e ne disponeva la reintegra, anche sulla base di una Sentenza del Consiglio di Stato in cui si ventilava l’equipollenza di fatto tra i due titoli, nonché su un parere ad personam emesso dal Ministero del Lavoro.
Avverso tale decisione proponeva ricorso ex art. 1 comma 51 legge 92/2012 la Casa di Cura che, nelle more del giudizio, aveva richiesto un secondo parere al Ministero, il quale aveva, in parte, ritrattato le precedenti dichiarazioni.
Inoltre, la Struttura aveva optato per l’ottemperanza formale alla decisione del Tribunale, ritenendo di retribuire il professionista, in assenza della controprestazione. Sul punto è bene evidenziare che, in tal caso, le prestazioni erogate da parte datoriale non hanno natura retributiva ma risarcitoria e che, pertanto, in caso di riforma del provvedimento impugnato, possono essere ripetute dal lavoratore.
Di contro, il professionista inoltrava la domanda di iscrizione presso l’ordine dei fisioterapisti che, alla luce del titolo posseduto e della comprovata esperienza professionale, valutava positivamente la richiesta.
Pertanto, la Struttura, nell’impugnare la cennata ordinanza, sebbene ritenesse superato il parere del Ministero del Lavoro, incontrava una nuova difficoltà, costituita dalla pacifica sussistenza del titolo in capo al lavoratore, il quale risultava, ad ogni effetto di legge, un fisioterapista.
Tuttavia, il Tribunale di Roma, nell’aderire alle doglianze rilevava che con “l’iscrizione ottenuta dal dott. (omissis) al TSRM il 28 novembre 2018, lo stesso è abilitato per il futuro ad esercitare la professione di Fisioterapista, ma ciò non ha alcuna efficacia “sanante” ex tunc”. E, pertanto, riteneva non dirimente la circostanza che il professionista fosse, in un momento successivo al licenziamento, perfettamente idoneo all’esercizio della predetta professione sanitaria.
In altre parole, il Giudice, nell’accogliere il ricorso della Casa di Cura, ha evidenziato come l’iscrizione ai neo costituiti ordini professionali disponga esclusivamente per il futuro, non potendo conferire a tale atto alcuna efficacia sanante, a prescindere dal titolo posseduto dal professionista.
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