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Licenziamento disciplinare: legittimo l’utilizzo delle videoregistrazioni finalizzate alla tutela del patrimonio aziendale
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Licenziamento disciplinare: legittimo l’utilizzo delle videoregistrazioni finalizzate alla tutela del patrimonio aziendale

Cass. civ. sez. lav., 6 febbraio 2025, n. 3045.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

La recentissima pronuncia in commento affronta il caso di un lavoratore licenziato per sottrazione di beni aziendali. La condotta illecita veniva posta in essere dal medesimo nel piazzale antistante la sede dell’azienda, “in un’area aperta al transito di soggetti esterni, e non in locali interni riservati ai dipendenti” e veniva accertata dal datore di lavoro tramite l’esame dei filmati delle videocamere installate all’esterno dei locali aziendali.

L’ex dipendente impugnava il licenziamento anche sulla base dell’assunto che l’impianto di videosorveglianza non rispettasse i requisiti di cui all’art. 4 St. Lav. posto che la relativa installazione non era stata autorizzata né dalle rappresentanze sindacali presenti in azienda, né dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Nel confermare le pronunce dei due precedenti gradi di giudizio che avevano sancito la legittimità del licenziamento, la Suprema Corte ha ribadito che “le telecamere erano state installate nel piazzale esterno dell'azienda, cioè in un'area aperta al transito di soggetti esterni, e non in locali interni riservati ai dipendenti. Dunque, l'uso della videosorveglianza era destinato alla sicurezza e alla protezione del patrimonio aziendale, come prescritto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 10636/2017). In altre parole, il lavoratore non era specificamente controllato, ma semplicemente investito dal raggio d'azione delle telecamere mentre svolgeva operazioni di carico all'esterno. I giudici di merito, pertanto, hanno correttamente escluso lesioni della privacy dei lavoratori e ravvisato la proporzionalità del mezzo, giacché le riprese erano effettuate in aree visibili e accessibili al pubblico, senza ingerenze nella sfera privata del lavoratore”. Ha proseguito quindi la Cassazione, affermando che: “In proposito la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio espresso dalla CEDU - Grande Camera (sentenza del 17 ottobre 2019, ricorsi n. 1874/13 e 8567/13), secondo cui il livello di privacy è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto agli ambienti strettamente personali”.

Ciò anche in considerazione del fatto che l’impianto di videosorveglianza era posto a presidio di aree isolate e facilmente soggette ad intrusioni di terzi, circostanze tali da escludere un intento datoriale di videosorveglianza sistematica dell’attività lavorativa dei dipendenti. La Corte, in buona sostanza, ha ancora una volta confermato la distinzione tra controlli difensivi in senso lato e controlli difensivi in senso stretto: i primi, soggetti alla disciplina di cui all’art. 4 Stat. Lav., preventivi e generalizzati dell’attività lavorativa del personale dipendente, i secondi, invece, attivati a seguito di un fondato sospetto della commissione di un illecito di un singolo lavoratore. Ed è a quest’ultima tipologia di controlli – non soggetta ai limiti dell’art. 4, commi 1 e 2, Stat. Lav. – che viene ricondotta la fattispecie concreta per escludere la illegittimità del licenziamento.

In ultimo, gli Ermellini, rispetto alla dedotta inutilizzabilità probatoria delle videoregistrazioni, eccezione sollevata dal lavoratore, hanno confermato, richiamando anche Cass. 33809/2021, che nel processo civile non esiste un divieto di utilizzabilità probatoria delle risultanze video così stringente come quello previsto nel processo penale “dovendosi procedere ad un bilanciamento tra privacy del lavoratore e tutela dell’impresa, che deve avvenire secondo i principi di correttezza, pertinenza e non eccedenza, previsti dal D. Lgs. N. 196/2003”.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha ritenuto il licenziamento operato pienamente legittimo.

 

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