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Notizie dalla Liguria

Accordo tra Fasi, Aiop, Federanisap, Aris e Agespi per l’ottimizzazione delle prestazioni sanitarie integrative

Milano, 7 febbraio 2019

Il 7 febbraio, nell’ambito di Connext-Confindustria, il primo evento di partenariato industriale, in programma a Milano, è stato presentato l’accordo sottoscritto tra Fasi, il Fondo assistenza sanitaria integrativa dei dirigenti italiani e le Associazioni di categoria Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata), Federanisap (Federazione Nazionale delle Associazioni Regionali o Interregionali delle Istituzioni Sanitaria Ambulatoriale Private), Aris (Associazione religiosa Istituti Socio Sanitari) e AGeSPI (Associazione gestori servizi socio sanitari e cure post intensive).

Necessaria una maggiore erogazione di prestazioni a livello regionale e risorse per il rinnovo dei contratti

Comunicato stampa del 23 gennaio 2019 a seguito della dichiarazioni del Ministro Grillo sul tavolo di lavoro per il Patto per la Salute

“Auspico che il nuovo Patto per la Salute tenga nella dovuta considerazione, tra i tanti temi, due che, a nostro avviso, sono prioritari: la possibilità per le Regioni, nel rispetto delle risorse assegnate alle stesse, di erogare maggiori prestazioni sanitarie e servizi aggiuntivi per ovviare alla criticità delle liste d’attesa e che queste possano essere garantite dalle nostre strutture, in tempi rapidi, con costi certi e qualità verificabile; la possibilità, sempre per le Regioni, di utilizzare le proprie risorse per il doveroso rinnovo del contratto dei lavoratori che operano nella componente privata del Servizio sanitario".
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Notizie Aiop Nazionale

Offese e minacce al superiore: legittimo il licenziamento poiché non si tratta di mera insubordinazione
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Offese e minacce al superiore: legittimo il licenziamento poiché non si tratta di mera insubordinazione

Cass. sez. Lav. n. 4230 del 19 febbraio 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La Corte di Cassazione, con la recente pronuncia in oggetto, ha affrontato il caso di una risoluzione operata nei confronti di una lavoratrice per aver essa proferito insulti pesanti e minacce, sul luogo di lavoro, nei confronti di una collega sovraordinata, salvo poi vedersi inizialmente reintegrare in servizio e indennizzare dal Tribunale cui si era rivolta per impugnare il recesso, pronuncia poi confermata dalla Corte d’Appello di Bologna in fase di reclamo. In particolare, la Corte bolognese - sebbene avesse affermato la rilevanza disciplinare della contestazione datoriale formulata alla dipendente e consistente appunto nell’aver pronunciato offese e minacce a un superiore - aveva però escluso che queste ultime avessero un “minimo di potenzialità intimidatoria oggettiva” anche in virtù della mancanza di “alcun precedente di condotta violenta”, e aveva quindi concluso anch’essa per la tutela reintegratoria, sussumendo tale comportamento nell’ambito di una mera “insubordinazione verso i superiori”. Insubordinazione che, secondo il contratto collettivo applicato in questo caso, avrebbe dovuto essere punita con una sanzione conservativa, non ricorrendo l’elemento della “gravità” della insubordinazione che lo stesso contratto prevedeva come necessario, per poter legittimamente irrogare un licenziamento disciplinare.

La Corte, disattendendo in toto le disposizioni del precedente Giudice, ha chiarito che per ricondurre una determinata infrazione nell’alveo delle sanzioni conservative piuttosto che in quelle risolutive, occorre necessariamente verificare se la condotta del lavoratore sia connotata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti rispetto alla disposizione contrattuale ed è quindi insufficiente un’indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile alle disposizioni del contratto collettivo, essendo sempre doveroso valutare in concreto se la condotta tenuta, per la sua gravità, sia tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro e ciò con particolare attenzione al comportamento del dipendente che indichi una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Nel caso di specie, dunque, il licenziamento è stato ritenuto pienamente legittimo avendo i giudici della Corte di appello trascurato di considerare che la frase pronunciata dalla lavoratrice non solo fosse espressione di insubordinazione, ma si accompagnasse anche a una ingiuria con epiteti offensivi e a una minaccia nei confronti della collega gerarchicamente sovraordinata, tale anche solo potenzialmente da ingenerare in quest’ultima timore e da turbarne o diminuirne la libertà psichica.

Per tali motivi, gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dall’azienda con condanna della lavoratrice alle spese di lite.

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