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Condotta illecita extra lavorativa del dipendente e licenziamento
Cass. Civile Sez. Lavoro ordinanza n. 28368 del 15 ottobre 2021
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
L’ordinanza in commento, ponendosi in linea con il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha ritenuto ravvisabile una giusta causa di licenziamento anche nel caso di condotte extra lavorative che, seppur tenute al di fuori dell’azienda e oltre l’orario di lavoro, nonché non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, possono comunque essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti.
Nello specifico, il lavoratore agiva in giudizio per far accertare l’illegittimità del licenziamento irrogato per giusta causa, determinato dalla sua condanna in sede penale per produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, deducendo, in particolare, la non definitività della sentenza di condanna penale. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Napoli confermavano la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto in ipotesi di gravi condotte del dipendente, avendo questi non solo l’obbligo di rendere la prestazione richiesta, ma anche di porre in essere, al di fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o di vulnerare irrimediabilmente il rapporto fiduciario sotteso al contratto di lavoro. Ciò a prescindere dalla circostanza che la condanna fosse definitiva o meno.
Sul punto, si è pronunciata – con l’ordinanza in commento - la Corte di Cassazione, la quale ha anzitutto premesso come la garanzia costituzionale della presunzione di innocenza sino a condanna penale definitiva non trova applicazione, nemmeno analogica o estensiva, in sede di giurisdizione civile ed in particolare con riguardo alla materia delle obbligazioni e dei contratti, cui attiene il rapporto di lavoro, poiché “detta presunzione non osta all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa per comportamenti del lavoratore che possano altresì integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza che sia necessario, in tale evenienza, attendere la sentenza definitiva di condanna, restando privo di rilievo che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo in siffatta ipotesi (vedi Cass. 19/6/2014 n. 13955, Cass. 21/9/2016 n. 18513)”.
Gli Ermellini hanno dunque ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito che, ai fini della valutazione in ordine alla gravità dei fatti, avevano valorizzato il possesso di circa 40 grammi di marjuana e 34 grammi di hashish, quantità tali da escludere un uso esclusivamente personale, e il conseguente inevitabile contatto con ambienti criminali, contatto pregiudizievole per l’immagine aziendale, aggiudicataria peraltro anche di appalti pubblici.
Una volta ritenuto integrato il requisito della gravità della condotta extra lavorativa ai fini della prosecuzione del rapporto, il Collegio ha osservato poi che, in simili casi, a nulla rileva che il contratto collettivo preveda la sanzione espulsiva solo nell’ipotesi di condanna definitiva, poiché l’elencazione delle ipotesi di giusta causa del licenziamento ha valenza meramente esemplificativa e non esclude la sussistenza della giusta causa per un grave comportamento contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile purché tale comportamento sia idoneo a far venire meno il vincolo fiduciario.
La Corte, quindi, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla società, specificando comunque che non tutti i comportamenti extralavorativi possono portare alla risoluzione del rapporto per giusta causa, dovendo i fatti commessi - lo ribadiamo - essere contrari alle norme della comune etica o del comune vivere civile e di gravità tale da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto.