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Notizie dalla Liguria

La scomparsa del Presidente Gustavo Sciachì

Presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000

Lo scorso 25 marzo si è spento l’avvocato Gustavo Sciachì, presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000. Un lungo tratto di strada che rende evidente la grande stima e la fiducia che l’Associazione ha risposto nella sua persona. La sua presidenza ha attraversato il tratto più lungo dei 50 anni della storia dell’Aiop, incidendo profondamente sullo sviluppo dell’Associazione, portandola ad acquisire soprattutto maggiore credibilità e forza nel confronto con le istituzioni regionali e nazionali.

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Intervista al Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, pubblicata su Il Giornale

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile - lancia l'allarme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all' avanguardia. E in questo modo, senza che l' opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all' anca o al ginocchio».

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Notizie Aiop Nazionale

Licenziamento disciplinare illegittimo se non sono individuabili i nominativi dei soggetti che hanno eseguito le indagini investigative
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Licenziamento disciplinare illegittimo se non sono individuabili i nominativi dei soggetti che hanno eseguito le indagini investigative

Cass. Sez. Lavoro n. 28378 dell’11 ottobre 2023.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La recentissima pronuncia in esame affronta il caso di un dipendente di Telecom licenziato, sulla scorta di indagini investigative, per aver falsamente attestato tempi e modi di esecuzione delle attività lavorative a lui assegnate, avendo svolto un complessivo orario di lavoro inferiore a quello contrattualmente dovuto senza alcuna riduzione corrispondente della retribuzione, ed all’essersi dedicato durante l’orario di lavoro ad incombenze legate alla sfera personale di interessi e comunque estranee all’attività lavorativa.

Il lavoratore impugnava il licenziamento, deducendo, tra i vari motivi, anche l’abusivo ricorso a controlli investigativi disposti nei suoi confronti, con conseguente inutilizzabilità dei fatti emersi al loro esito.

Il Tribunale accoglieva le domande da questi proposte, ma la sentenza veniva integralmente riformata in appello, avendo la Corte ritenuto pienamente legittima l’operata risoluzione.

L’ex dipendente ricorreva quindi in Cassazione, addebitando, tra l’altro, alla Corte territoriale, l’”omessa considerazione della mancata indicazione, nel mandato investigativo, dei nominativi degli investigatori delegati all’esecuzione delle indagini”, avendo l’agenzia investigativa cui si era rivolto il datore di lavoro “sub-appaltato” il servizio ad altra società.

Gli Ermellini, con una articolata motivazione, hanno ritenuto di accogliere la doglianza del lavoratore, specificando innanzitutto come “l’indicazione del nominativo dei soggetti che in concreto hanno eseguito le indagini, se non riconducibili alla società di investigazione che ha ricevuto l’incarico, è un requisito di validità e di liceità di tali indagini e di utilizzabilità del relativo esito, pur se demandate a soggetto all’uopo dotato delle necessarie autorizzazioni amministrative”.

Nel caso di specie, l’indicazione dei nominativi degli investigatori che avevano materialmente eseguito le indagini era mancata sia ab origine, sia ex post in calce al mandato ricevuto.

La Cassazione quindi ha ritenuto come tale mancanza inficiasse il mandato e comportasse, di conseguenza, l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 11, co. 2, d.lgs. n. 196/2003, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo, specificando che “ne consegue che sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice [..] di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici”.

Ha, in tal senso, richiamato l’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, registro dei provvedimenti n. 528 del 15/12/2016, in cui è previsto che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”. Nello stesso senso, ancora più in generale, è l’art. 8, co. 4, del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al d.lgs. n. 196/2003 – Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Per tali motivi, il Giudice di Legittimità ha dunque cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello per la decisione sulla base dei principi di diritto sopra formulati.

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