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Notizie dalla Liguria

Professioni sanitarie. Firmato il decreto attuativo che istituisce i nuovi albi

Decreto attuativo della legge n. 3 del 2018

È stato firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il primo decreto attuativo della legge n. 3 del 2018, meglio conosciuta come la legge che ha riformato il sistema ordinistico delle professioni sanitarie in Italia. Si tratta del decreto che istituisce gli albi delle 17 professioni sanitarie, fino ad oggi regolamentate e non ordinate, che entreranno a far parte dell’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Dalla privacy alla cybersecurity, le strutture cercano nuove figure

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana, in grado di tutelare la privacy e i dati sanitari dei pazienti, o difendere le strutture dai cyberattacchi informatici. La sanità sta cambiando volto, anche quella privata. "Con l'espansione del settore delle cure per gli anziani, negli ospedali e nelle Rsa queste figure tradizionali sono molto richieste. Ma accanto a loro vediamo anche emergere la domanda di professionalità nuove, con competenze trasversali". Parola del direttore generale di Aiop, Filippo Leonardi, che con l'Adnkronos Salute fa il punto sulle professioni più gettonate dalle aziende e dai gruppi del settore nel nostro Paese.
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Notizie Aiop Nazionale

Licenziamento disciplinare illegittimo se non sono individuabili i nominativi dei soggetti che hanno eseguito le indagini investigative
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Licenziamento disciplinare illegittimo se non sono individuabili i nominativi dei soggetti che hanno eseguito le indagini investigative

Cass. Sez. Lavoro n. 28378 dell’11 ottobre 2023.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La recentissima pronuncia in esame affronta il caso di un dipendente di Telecom licenziato, sulla scorta di indagini investigative, per aver falsamente attestato tempi e modi di esecuzione delle attività lavorative a lui assegnate, avendo svolto un complessivo orario di lavoro inferiore a quello contrattualmente dovuto senza alcuna riduzione corrispondente della retribuzione, ed all’essersi dedicato durante l’orario di lavoro ad incombenze legate alla sfera personale di interessi e comunque estranee all’attività lavorativa.

Il lavoratore impugnava il licenziamento, deducendo, tra i vari motivi, anche l’abusivo ricorso a controlli investigativi disposti nei suoi confronti, con conseguente inutilizzabilità dei fatti emersi al loro esito.

Il Tribunale accoglieva le domande da questi proposte, ma la sentenza veniva integralmente riformata in appello, avendo la Corte ritenuto pienamente legittima l’operata risoluzione.

L’ex dipendente ricorreva quindi in Cassazione, addebitando, tra l’altro, alla Corte territoriale, l’”omessa considerazione della mancata indicazione, nel mandato investigativo, dei nominativi degli investigatori delegati all’esecuzione delle indagini”, avendo l’agenzia investigativa cui si era rivolto il datore di lavoro “sub-appaltato” il servizio ad altra società.

Gli Ermellini, con una articolata motivazione, hanno ritenuto di accogliere la doglianza del lavoratore, specificando innanzitutto come “l’indicazione del nominativo dei soggetti che in concreto hanno eseguito le indagini, se non riconducibili alla società di investigazione che ha ricevuto l’incarico, è un requisito di validità e di liceità di tali indagini e di utilizzabilità del relativo esito, pur se demandate a soggetto all’uopo dotato delle necessarie autorizzazioni amministrative”.

Nel caso di specie, l’indicazione dei nominativi degli investigatori che avevano materialmente eseguito le indagini era mancata sia ab origine, sia ex post in calce al mandato ricevuto.

La Cassazione quindi ha ritenuto come tale mancanza inficiasse il mandato e comportasse, di conseguenza, l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 11, co. 2, d.lgs. n. 196/2003, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo, specificando che “ne consegue che sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice [..] di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici”.

Ha, in tal senso, richiamato l’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, registro dei provvedimenti n. 528 del 15/12/2016, in cui è previsto che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”. Nello stesso senso, ancora più in generale, è l’art. 8, co. 4, del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al d.lgs. n. 196/2003 – Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Per tali motivi, il Giudice di Legittimità ha dunque cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello per la decisione sulla base dei principi di diritto sopra formulati.

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