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Il deposito dell’avviso di giacenza della raccomandata costituisce presunzione di conoscenza del licenziamento da parte del lavoratore
Ordinanza del 15 febbraio 2022 Tribunale di Bologna Sez. Lavoro
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Nella pronuncia in commento viene affrontato il caso di una lavoratrice licenziata per giustificato motivo oggettivo in piena emergenza pandemica, la quale impugnava il provvedimento sostenendone la nullità, sul rilievo che lo stesso era stato intimato in spregio a quanto previsto dal D.L. 178/2020, che aveva introdotto il c.d. blocco dei licenziamenti per g.m.o., ad eccezione di limitate deroghe, non ricorrenti nella fattispecie.
Si costituiva in giudizio la società, la quale eccepiva preliminarmente la decadenza della ricorrente dall’impugnativa del licenziamento, perché lo stesso non era stato impugnato nel termine di 60 giorni previsto dalla L. n. 604/66.
E infatti, dagli atti risultava che la lettera di licenziamento era stata spedita per raccomandata all’indirizzo della lavoratrice il giorno 06.03.2021 e che il postino aveva tentato di consegnarla il giorno 09.03.2021, senza però che la destinataria fosse presente. Di conseguenza, come risultava dalla documentazione fornita da Poste Italiane, quello stesso giorno il postino aveva rilasciato in cassetta l’avviso di deposito della raccomandata presso l’ufficio postale. La lettera veniva quindi riconsegnata all’ufficio postale e la dipendente si recava a ritirarla il giorno 17.03.2021, provvedendo poi ad impugnare il licenziamento tramite comunicazione pec del 13.05.2021. Il datore di lavoro convenuto in giudizio si difendeva sostenendo che l’impugnazione stragiudiziale fosse da considerarsi tardiva, in quanto quale dies a quo per il calcolo del termine decadenziale di sessanta giorni doveva assumersi la data del rilascio dell’avviso di giacenza (09.03.2021) e non quella del ritiro in posta (17.03.2021), con la conseguenza che, quando era pervenuta l’impugnazione, il termine era già scaduto da cinque giorni.
All’uopo, corre precisare che, oramai per unanime giurisprudenza, essendo la lettera di licenziamento un atto unilaterale recettizio, ai sensi dell’art. 1335 c.c. questa si presume conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza. Di conseguenza, laddove il licenziamento sia intimato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l’assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale (v. Cass. n. 6527 /2003), restando irrilevante il periodo di compimento della giacenza e quello intercorso tra il rilascio dell’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario (v. Cass. n. 27526/2013 e Cass. 23589/18).
Tuttavia, tornando al caso affrontato in ordinanza, in ragione dell’eccezione mossa dall’ex datore di lavoro, la lavoratrice assumeva in giudizio di essersi ritrovata nell’impossibilità di ricevere la posta presso la propria abitazione in quanto costretta a prestare assistenza alla madre invalida durante il periodo di lockdown trascorso nel contesto di una c.d. “zona rossa”.
Orbene, il Tribunale di Bologna riteneva priva di pregio detta giustificazione, e dunque non idonea a superare la presunzione legale di conoscenza, ciò sul presupposto che nulla impediva alla ricorrente “(che comunque non risultava essersi trasferita, nemmeno temporaneamente, presso il domicilio della madre) di recarsi in posta a ritirare la raccomandata il giorno dopo o comunque nei giorni successivi (come ha poi fatto) e in ogni caso in tempo utile per l’impugnazione del licenziamento”.
Ed infatti, la ricorrente avrebbe dovuto provare l’impossibilità incolpevole (perché dovuta ad evento straordinario ed imprevedibile) di avere notizia dell’atto recettizio, non essendo sufficiente la prova della mancata conoscenza.
Per tali motivi, il Tribunale di Bologna dichiarava l’inammissibilità del ricorso.