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Quando un lavoratore è ritenuto subordinato
Tribunale di Lamezia Terme, Sez. Lavoro. Sentenza n.383 del 11 ottobre 2018
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Il caso in esame, prende le mosse dalla cessazione di un rapporto autonomo tra una biologa che operava all’interno di una Casa di Cura. La Collaboratrice intraprendeva un’azione volta ad ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato ed impugnava il preteso licenziamento comminatogli a causa di alcuni inadempimenti da ella posti in essere.
Con la sentenza in commento, il Tribunale di Lamezia Terme, nel solco di un solido filone giurisprudenziale della Suprema Corte, ha evidenziato come il giudice che sia chiamato a qualificare un rapporto di lavoro quale subordinato o autonomo, è tenuto a far riferimento alle modalità di espletamento della prestazione.
Il richiamato filone giurisprudenziale della Cassazione sottolinea altresì che, attesa la possibilità di espletare ogni attività lavorativa mediante il ricorso al lavoro autonomo e al subordinato, il giudice nel qualificare la natura del rapporto è tenuto procedere a valutare la sussistenza del potere direttivo, disciplinare e di controllo in capo al datore quali caratteri distintivi del lavoro subordinato.
Inoltre, nel caso de qua il Tribunale ha ritenuto che “l’assoggettamento del lavoratore al potere datoriale … non può esaurirsi nella in una mera situazione di fatto, dovendo invece costituire l’espressione di un diritto e di un correlativo obbligo. Per integrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dunque, occorre non solo che lavoratore sia assoggettato al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore, bensì che ciò faccia in adempimento di un obbligo contrattuale”.
Sulla scorta di tale principio, con riguardo specifico alle professioni medico sanitarie, il Giudice ha affermato che “in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione continua del datore di lavoro, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, cioè l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere verificata mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che [devono essere individuati] attribuendo prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto” (Cfr. ex multiis Cass. Sez. Lav. 14573/2012; Cass. Sez. Lav. 19568/2013, ove tra l’altro la Corte ha ritenuto non sindacabile nel giudizio di legittimità la valutazione del Giudice se adeguatamente motivata).
Con riferimento al caso di specie, il Giudice ha ritenuto che nonostante il rapporto di lavoro fosse proseguito per oltre 10 anni senza soluzione di continuità e che la ricorrente “fosse stabilmente inserita nell’organizzazione aziendale … non è emerso l’assoggettamento a forme di controllo esercitate dall’imprenditore rispetto all’esecuzione della prestazione lavorativa o la sussistenza di un obbligo di osservare un orario di lavoro predeterminato …, né che la ricorrente fosse tenuta ad attenersi alla direttive impartite dalla società o dai suoi preposti circa l’organizzazione del lavoro o la fruizione di riposi”.
Pertanto, sulla scorta dell’espletamento della prova testimoniale, nonostante il Tribunale ritenesse che la biologa fosse stabilmente inserita nell’organizzazione aziendale, rigettava il ricorso. Invero, il Giudice evidenziava come fosse onere del lavoratore dimostrare che le modalità con cui esso viene inserito nell’organizzazione aziendale siano proprie del rapporto di lavoro subordinato.
Di contro, veniva ampiamente dimostrata l’autonoma gestione del lavoro, l’assenza di assoggettamento a direttive programmatiche, l’accettazione del rischio derivante dal mancato espletamento dell’attività lavorativa al fine di fruire di periodi di riposo e, pertanto, la lavoratrice veniva anche condannata alla refusione delle spese legali sostenute.