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Legittimo l’allontanamento del dipendente che rifiuta il vaccino
Ordinanza Tribunale di Belluno del 19.03.2021
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale
Con il procedimento da cui muove l’ordinanza in commento, la Giurisprudenza si è pronunciata, per la prima volta, sul forzato allontanamento dall’azienda del dipendente che rifiuta di effettuare il vaccino contro il Sars-CoV-2. In particolare, il Tribunale di Belluno è stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda dei lavoratori, i quali ritenevano di poter permanere in Struttura, seppur non avessero provveduto a sottoporsi a tale trattamento sanitario.
Il Giudice ha preliminarmente ricordato come, ai sensi dell’art. 2087 c.c., gravi sul datore di lavoro l’onere di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, “secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Alla stregua di tale disposizione, l’Azienda aveva messo a disposizione di tutti i propri dipendenti il vaccino, quale Dispositivo di Protezione Individuale (DPI) validato dalla comunità scientifica e certamente più efficace dei ben noti strumenti utilizzati sin dall’inizio della pandemia (mascherine, guanti, etc..). Tuttavia, alcuni dipendenti avevano rifiutato l’inoculazione del farmaco, esercitando il proprio diritto costituzionale di non essere sottoposti ad un trattamento sanitario contro la propria volontà (art. 32 co.2 della Costituzione).
Il Giudice, pertanto, è stato chiamato a ponderare il predetto diritto dei dipendenti, con la tutela della salute dei lavoratori e degli ospiti della Struttura, anch’esso diritto Costituzionale, tutelato dall’art. 32 co. 1 “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Alla stregua del bilanciamento degli interessi coinvolti, è stato espressamente ritenuto che “la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c.”, essendo ormai “notorio che il vaccino per cui è causa … costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia”.
Orbene, l’ordinanza in commento, seppur non affrontando il vulnus della tematica del rifiuto del vaccino ovvero dall’idoneità alla mansione del lavoratore, costituisce la prima pronuncia con cui viene evidenziato l’acuirsi del rischio biologico in ragione della mancata vaccinazione di alcuni dipendenti, a cui l’azienda deve reagire prendendo tempestivi provvedimenti e limitando la presenza in Struttura dei lavoratori che abbiano rifiutato di sottoporsi al vaccino contro il Sars-CoV-2, al fine di rispettare l’art. 2087 c.c.. Al fine di offrire una trattazione organica, si deve richiamare la Circolare 38 del 2021 con cui è stata diffusamente affrontata la tematica del rifiuto alla vaccinazione da parte del dipendente di una Struttura sanitaria.
In particolare, con la richiamata Circolare, si è evidenziato come, a fronte del rifiuto del lavoratore alla somministrazione del farmaco, il datore può richiedere al medico competente di effettuare la sorveglianza sanitaria, sia perché prevista dalla normativa vigente (art. 29 bis D.L. 23/2020 conv. in L. 40/20) sia in quanto vi è un rischio biologico specifico (come sancito dall’INAIL nella circolare numero 13 del 3 aprile 2020), inserito nel DVR aziendale. All’esito della visita il Medico dovrà emettere relativo giudizio, tenendo presente che, come sancito anche dal provvedimento in commento, la condotta del dipendente acuisce il rischio di diffusione del virus in azienda e dunque mette a repentaglio le misure di sicurezza di cui al citato protocollo del 24.04.2020 adottate dal datore di lavoro.
A fronte quindi di una valutazione di inidoneità, il lavoratore potrà rimuovere la causa che l’ha generata accettando la vaccinazione; diversamente, sarà necessario verificare la possibilità di adibirlo a mansioni differenti ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. 81/08. Se tale soluzione non è realizzabile - come, di norma, nel caso degli operatori sanitari -, il datore appare legittimato a procedere con l’allontanamento del dipendente, attesa l’impossibilità materiale di avvalersi delle sue prestazioni, ciò alla stregua del comma 2, lettera b) del menzionato art. 279, e di adottare, se del caso, le successive procedure, anche attraverso gli Organi pubblici, per la conferma dell’inidoneità.