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Notizie dalla Liguria

Accordo tra Fasi, Aiop, Federanisap, Aris e Agespi per l’ottimizzazione delle prestazioni sanitarie integrative

Milano, 7 febbraio 2019

Il 7 febbraio, nell’ambito di Connext-Confindustria, il primo evento di partenariato industriale, in programma a Milano, è stato presentato l’accordo sottoscritto tra Fasi, il Fondo assistenza sanitaria integrativa dei dirigenti italiani e le Associazioni di categoria Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata), Federanisap (Federazione Nazionale delle Associazioni Regionali o Interregionali delle Istituzioni Sanitaria Ambulatoriale Private), Aris (Associazione religiosa Istituti Socio Sanitari) e AGeSPI (Associazione gestori servizi socio sanitari e cure post intensive).

Necessaria una maggiore erogazione di prestazioni a livello regionale e risorse per il rinnovo dei contratti

Comunicato stampa del 23 gennaio 2019 a seguito della dichiarazioni del Ministro Grillo sul tavolo di lavoro per il Patto per la Salute

“Auspico che il nuovo Patto per la Salute tenga nella dovuta considerazione, tra i tanti temi, due che, a nostro avviso, sono prioritari: la possibilità per le Regioni, nel rispetto delle risorse assegnate alle stesse, di erogare maggiori prestazioni sanitarie e servizi aggiuntivi per ovviare alla criticità delle liste d’attesa e che queste possano essere garantite dalle nostre strutture, in tempi rapidi, con costi certi e qualità verificabile; la possibilità, sempre per le Regioni, di utilizzare le proprie risorse per il doveroso rinnovo del contratto dei lavoratori che operano nella componente privata del Servizio sanitario".
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Notizie Aiop Nazionale

In sede protetta non è possibile rinunciare a diritti non ancora maturati
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In sede protetta non è possibile rinunciare a diritti non ancora maturati

Cass. Civ. Sez. Lav. n. 6664 del 1 marzo 2022

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

 

La pronuncia in commento affronta il caso di un lavoratore che, dopo aver impugnato il termine apposto ad un contratto di lavoro della durata di 35 mesi e 18 giorni, sottoscriveva con l’azienda innanzi al Giudice del Lavoro un verbale di conciliazione in forza del quale quest’ultima si impegnava ad assumerlo nuovamente a termine per quattro mesi a fronte della rinunzia, da parte dello stesso, ad avanzare qualsiasi pretesa in relazione a tale secondo contratto.

Il lavoratore, alla scadenza di quest’ultimo rapporto, promuoveva un nuovo giudizio, sostenendo la nullità della conciliazione sottoscritta nel corso della prima causa, chiedendo consequenzialmente la conversione del rapporto a tempo indeterminato, per superamento del termine massimo di durata di trentasei mesi [n.d.r.: ora 24 mesi].

I giudici di merito giudicavano nulle le rinunce effettuate dal ricorrente nel cennato accordo conciliativo in quanto aventi ad oggetto diritti (in particolare, la conversione del rapporto di lavoro al superamento del limite triennale) non ancora sorti.

Ricorreva quindi in Cassazione la società sostenendo, tra l’altro, che “il tetto massimo di 36 mesi di durata dei contratti a termine non ha carattere assoluto ma è derogabile dall’autonomia individuale del lavoratore espressa nelle sedi protette, come si desume dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2015 che consente alle parti di stipulare, dopo il termine triennale, un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi purché presso la Direzione Territoriale del lavoro competente per territorio; ha precisato che tale ipotesi derogatoria dovesse considerarsi integrata nel caso di specie in cui il contratto a termine del 2016 è stato oggetto dell’accordo conciliativo concluso dinanzi al giudice del lavoro quindi in condizioni di ancora maggior tutela”.

La Suprema Corte, rigettando i motivi proposti dall’azienda, confermava il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le rinunzie del lavoratore aventi ad oggetto diritti non ancora entrati a far parte del patrimonio giuridico (c.d. diritti futuri) sono radicalmente nulle poiché contrarie alle norme imperative di legge di cui agli articoli 1418 secondo comma e 1325 c.c., anche nell’ipotesi in cui tali rinunzie siano state sottoscritte nelle sedi protette di cui all’articolo 2.113 c.c., ribadendo chel’art. 2113 uc. c.c. consente in sede protetta le rinunce ma non gli atti regolativi in contrasto con norme imperative. […]la sede protetta non può essere il luogo in cui si consumano le violazioni, cioè si concordano regolazioni contra legem con rinuncia a farle valere ma si può unicamente rinunciare ai diritti già maturati in conseguenza di violazioni realizzate prima e fuori da quella sede”.

Precisava quindi che, al momento della conciliazione, il lavoratore aveva certamente maturato il diritto a far valere l’illegittimità del primo contratto di lavoro a termine (già impugnato e oggetto del primo giudizio), ma non era invece ancora entrato a far parte del patrimonio giuridico del lavoratore il diritto di far valere l’illegittimità del secondo contratto di lavoro a termine per superamento del limite di trentasei mesi [n.d.r.: ora 24 mesi]. A parere della Corte, dunque, il lavoratore aveva rinunciato a tale diritto, non dopo averlo già acquisito, ma nell’atto in cui lo acquisiva, o meglio, col proprio atto dispositivo impediva il sorgere di quel diritto.

Per tali ragioni, secondo la Corte di Cassazione, non si era trattato di una rinunzia, che presupponeva un diritto già maturato in capo al lavoratore, ma di un atto con cui le parti avevano regolato il loro nuovo rapporto di lavoro in modo difforme dalla norma imperativa sui limiti temporali del contratto a termine, con conseguente nullità. Né si poteva applicare l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 19, co. 3 D. Lgs. 81/15 (ossia, stipula di ulteriore contratto di 12 mesi presso ITL), trattandosi di un’ipotesi che richiede l’osservanza di un preciso procedimento, posto a tutela dell’eccezionalità dell’ipotesi, e non suscettibile di applicazione analogica.

La Cassazione rigettava dunque il ricorso proposto dalla società.

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