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Notizie dalla Liguria

I nuovi candidati

54ª Assemblea generale Aiop

Care Amiche e cari Amici,

ci avviciniamo all’appuntamento elettivo della 54ª Assemblea generale Aiop seguendo il percorso che Vi avevamo indicato nella road map (circ. Aiop n.13 del 29/1/2018). Il 26 aprile scorso è scaduto il termine per la presentazione delle candidature alla Presidenza nazionale, al Collegio dei Probiviri, al Collegio dei Revisori dei conti e ai due posti nel Consiglio nazionale di nomina assembleare. Allego quindi l’elenco dei candidati che saranno votati secondo il regolamento di cui alla circ. Aiop n.46 del 12/4/2018.

Il futuro della sanità digitale secondo la Commissione europea

Communication on enabling the digital transformation of health and care in the Digital Single Market; empowering citizens and building a healthier society

Il 25 marzo 2018 è stata pubblicata la Comunicazione della Commissione al Parlamento ed al Consiglio europei in materia di e-Health, intitolata “Enabling the digital transformation of health and care in the Digital Single Market; empowering citizens and building a healthier society” (COM 2018-233final).
Nel contesto politico ed economico attuale, i sistemi sanitari, secondo la Commissione, devono essere ripensati in profondità per continuare a garantire la soddisfazione dei bisogni dei cittadini, in presenza di un aumento costante della spesa sanitaria. Le soluzioni informatiche per l’assistenza, se progettate ed attuate in maniera cost-effective, possono rivoluzionare il modo in cui i servizi sanitari sono erogati ai pazienti. La sanità digitale può agevolare le riforme dei sistemi sanitari e la loro transizione a nuovi modelli, favorendo la continuità delle cure, anche attraverso le frontiere, diffondendo le conoscenze scientifiche, rendendo possibile un miglior uso dei dati nella ricerca e nell’innovazione.
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Notizie Aiop Nazionale

In sede protetta non è possibile rinunciare a diritti non ancora maturati
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In sede protetta non è possibile rinunciare a diritti non ancora maturati

Cass. Civ. Sez. Lav. n. 6664 del 1 marzo 2022

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

 

La pronuncia in commento affronta il caso di un lavoratore che, dopo aver impugnato il termine apposto ad un contratto di lavoro della durata di 35 mesi e 18 giorni, sottoscriveva con l’azienda innanzi al Giudice del Lavoro un verbale di conciliazione in forza del quale quest’ultima si impegnava ad assumerlo nuovamente a termine per quattro mesi a fronte della rinunzia, da parte dello stesso, ad avanzare qualsiasi pretesa in relazione a tale secondo contratto.

Il lavoratore, alla scadenza di quest’ultimo rapporto, promuoveva un nuovo giudizio, sostenendo la nullità della conciliazione sottoscritta nel corso della prima causa, chiedendo consequenzialmente la conversione del rapporto a tempo indeterminato, per superamento del termine massimo di durata di trentasei mesi [n.d.r.: ora 24 mesi].

I giudici di merito giudicavano nulle le rinunce effettuate dal ricorrente nel cennato accordo conciliativo in quanto aventi ad oggetto diritti (in particolare, la conversione del rapporto di lavoro al superamento del limite triennale) non ancora sorti.

Ricorreva quindi in Cassazione la società sostenendo, tra l’altro, che “il tetto massimo di 36 mesi di durata dei contratti a termine non ha carattere assoluto ma è derogabile dall’autonomia individuale del lavoratore espressa nelle sedi protette, come si desume dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2015 che consente alle parti di stipulare, dopo il termine triennale, un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi purché presso la Direzione Territoriale del lavoro competente per territorio; ha precisato che tale ipotesi derogatoria dovesse considerarsi integrata nel caso di specie in cui il contratto a termine del 2016 è stato oggetto dell’accordo conciliativo concluso dinanzi al giudice del lavoro quindi in condizioni di ancora maggior tutela”.

La Suprema Corte, rigettando i motivi proposti dall’azienda, confermava il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le rinunzie del lavoratore aventi ad oggetto diritti non ancora entrati a far parte del patrimonio giuridico (c.d. diritti futuri) sono radicalmente nulle poiché contrarie alle norme imperative di legge di cui agli articoli 1418 secondo comma e 1325 c.c., anche nell’ipotesi in cui tali rinunzie siano state sottoscritte nelle sedi protette di cui all’articolo 2.113 c.c., ribadendo chel’art. 2113 uc. c.c. consente in sede protetta le rinunce ma non gli atti regolativi in contrasto con norme imperative. […]la sede protetta non può essere il luogo in cui si consumano le violazioni, cioè si concordano regolazioni contra legem con rinuncia a farle valere ma si può unicamente rinunciare ai diritti già maturati in conseguenza di violazioni realizzate prima e fuori da quella sede”.

Precisava quindi che, al momento della conciliazione, il lavoratore aveva certamente maturato il diritto a far valere l’illegittimità del primo contratto di lavoro a termine (già impugnato e oggetto del primo giudizio), ma non era invece ancora entrato a far parte del patrimonio giuridico del lavoratore il diritto di far valere l’illegittimità del secondo contratto di lavoro a termine per superamento del limite di trentasei mesi [n.d.r.: ora 24 mesi]. A parere della Corte, dunque, il lavoratore aveva rinunciato a tale diritto, non dopo averlo già acquisito, ma nell’atto in cui lo acquisiva, o meglio, col proprio atto dispositivo impediva il sorgere di quel diritto.

Per tali ragioni, secondo la Corte di Cassazione, non si era trattato di una rinunzia, che presupponeva un diritto già maturato in capo al lavoratore, ma di un atto con cui le parti avevano regolato il loro nuovo rapporto di lavoro in modo difforme dalla norma imperativa sui limiti temporali del contratto a termine, con conseguente nullità. Né si poteva applicare l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 19, co. 3 D. Lgs. 81/15 (ossia, stipula di ulteriore contratto di 12 mesi presso ITL), trattandosi di un’ipotesi che richiede l’osservanza di un preciso procedimento, posto a tutela dell’eccezionalità dell’ipotesi, e non suscettibile di applicazione analogica.

La Cassazione rigettava dunque il ricorso proposto dalla società.

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